lunedì 28 dicembre 2015

28 dicembre 2015 - Ancora tu


Siete genitori?

I figli monopolizzano la vostra vita?
Ne so qualcosa.

Lo so perché vado al cinema


perché ho qualche amica madre, e perché da un paio di mesi vivo con lei



​Titina da piccola

Se non lo sapevate, ora lo sapete, ma di certo già eravate al corrente, e tuttavia se torno a parlarne non potete avere niente da ridire, come ai genitori nessuno oserebbe recriminare: "Ouh, e basta con 'sto Mirko / Deborah / Massimiliano / Carlotta! Smettila, racconta qualcos'altro, ché mi hai rotto le scatole!".
I figli sono sacri, e allora ribadiamo che sono sacri anche i gatti.




Dal Museo Egizio di Torino

Pensate solo a quanto contribuiscano al benessere di tante persone sole.
"Clac - clac - clac!" fa la chiave nella serratura ogni mattina, quando un single va al lavoro e lascia il proprio gatto a custodia della casa.
Avete mai pensato alla topografia delle città disegnate coi gatti?
In via dei Salici al numero 3 ci sono: una micia nera al primo piano, un gattone rosso e una grigina al secondo, al terzo una mamma calico in una scatola di cartone con un figlio nero, uno bianco e uno rosso.
Le pareti dei palazzi diventano trasparenti, ed ecco all'improvviso stagliarsi nel cielo a varie altezze una tribù pelosa che dorme, mangia, gioca col topino di gomma finché il padrone arriva, a sera, e clac - clac - clac, riapre la porta. Cominciano le feste di benvenuto.
Una vera gattografia.

E visto che ogni gatto è diverso dall'altro, vi parlerò del mio, che sta in un appartamento all'ottavo piano della periferia milanese.

Titina stamattina mi ha svegliato verso le 8.
Non vuole che dorma troppo a lungo.
In compenso, la sera a una certa ora mi fa capire che è ora di ritirarsi.

Titina mi aspetta dietro la porta di casa ogni volta che rientro.
A Natale sono stata via quasi tutto il giorno, e allora per punirmi è scappata fuori, è salita al piano di sopra, ha preso a calci la porta del vicino, non voleva tornare giù.
Insomma, ha fatto l'offesa.

Titina, contrariamente agli altri gatti, è indifferente alle scatole di cartone. 
Non se le fila proprio.
In compenso, le piace giocare con l'acqua: ogni mattina fa la doccia al rubinetto del cucinino, 

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e quando faccio il bagno è lì, a sovrintendere all'operazione.
Per lo più, dallo stenditoio.
Lo stenditoio è il suo posto preferito.

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Titina ama i fiori.
Le piace distruggerli.

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Se volevate regalarmi dei fiori, non fatelo più. 
Portatemi dei cioccolatini, invece, così faccio una palla con la stagnola e la tiro a Titina, che ci gioca.

Titina in effetti gioca molto.
E' una gatta allegra.
E' una gatta giovane...


Uno dei suoi soprannomi è Titina Adrenalina.
Per me, oramai abituata ai mici novantenni, è stata una bella sferzata di energia.

Ma Titina fa sparire continuamente i suoi giochi.
Secondo me, i gatti conoscono i buchi spazio-temporali, e ogni tanto ci buttano dentro una biglia.

Titina è affascinata dalle ombre, e salta sui muri per afferrarle.


Capita che sollevi la testa e fissi un punto nel vuoto, con le orecchie dritte.
Titina, secondo me, vede i fantasmi.

Titina, per ora, ha rotto solo un piatto.
Anche perché io ho fatto sparire molti oggetti dagli scaffali di casa.
In compenso, il pavimento adesso pullula di topini di gomma, noci, fiori secchi.
I nuovi arrivi cambiano sempre la fisionomia della casa.

Titina è famelica. Non avanza mai cibo nella ciotola.
Mangerebbe continuamente, di tutto.

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Titina Ricottina.
Figlia mia.

Che ha i miei stessi gusti, e guarda la televisione insieme a me

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Titina, diciamolo, non è molto brava a cadere sulle zampe. 
Quando corre, sbatte un po' dappertutto, ma evidentemente l'assiste il dio degli ubriachi e dei bambini di ogni specie. Per ora, non si è fatta troppo male.

Però io sono preoccupata.
Penso a tutto quello che potrebbe succederle, e sto male.



E' vero, i genitori me lo insegnano: a certe cose non bisogna proprio pensare, altrimenti non si vive più.

Come non voglio pensare al fatto che, se va tutto bene, Titina è il gatto che mi accompagnerà nella mia vecchiaia.

Una persona che amavo molto, volendo ferirmi, aveva predetto per me un futuro da zitella fuori di testa in una casa popolata da decine di gatti puzzolenti,

Per adesso, c'è solo lei.
Meglio lei che lui.


Buona settimana


Silvana



lunedì 21 dicembre 2015

21 dicembre 2015 - Due piccioni con una fava, ovvero: Una soluzione pratica e un po' lazzarona


Tanti auguri
per un Natale e un 2016
pieno di coccole ininterrotte,
di giochi scatenati,
di mangiarini a volontà sani e golosi,
di dormitone al caldo,
di belle miagolate,


di sogni di topi che scappano corrono
ma alla fine si fanno acchiappare.

E se non vi piace essere un gatto...


Peccato!

(E, naturalmente, anche buona settimana!)



Silvana

lunedì 14 dicembre 2015

14 dicembre 2015 - Grazie, Anna, per l'immeritato successo

Lunedì scorso, 7 dicembre Sant'Ambrogio festa patronale della mia città, nel tardo pomeriggio ho acceso la televisione per seguire quello che da un paio di anni è diventato uno dei miei appuntamenti fissi: l'inaugurazione della stagione operistica al Teatro alla Scala.


Più stanca che entusiasta, quest'anno ho spento la tele sul prestino e sono andata a dormire.

Il giorno dopo do un'occhiata alle recensioni, vengo a sapere di polemiche e liti tra cantanti e giornalisti, registi e direttori...
Ma gente che fa un mestiere così bello ha ancora voglia di litigare? mi stupisco io.
Ancor di più mi stupisco nel vedere che i contatti sul mio blog si sono decuplicati.
120 visite il giorno della prima. Pofferbacco! Sul mio sito in genere non va mai nessuno...
E 90 contatti il giorno dopo.
45 il giorno dopo ancora - e via a scemare.

La ragione dell'improvviso successo l'ho capita subito: stella dell'inaugurazione era Anna Netrebko. 
Questa grande cantante negli ultimi anni ha messo su, diciamo, qualche chilo

https://www.youtube.com/watch?v=YM5WJGG9wX4

e se si fa una ricerca in rete con le parole chiave "anna netrebko ingrassata", google rimanda dritto dritto a un post che avevo pubblicato un paio di anni fa sul mio blog:


Ma io non so nulla dei segreti metabolismi delle grandi cantanti!
E se fossi un'amica della bella soprano, certo non renderei pubblici i fatti suoi su un blog.

Ripeto quello che avevo scritto ai tempi: le cantanti liriche vivono in un mondo diverso dal nostro. L'arte le rende comunque meravigliose. Ingrassare... Dimagrire... Sono concetti che tangono solo i comuni mortali.

Posso dire anche l'opposto: le cantanti vivono nel nostro stesso mondo, e alle donne capita di ingrassare quando hanno dei bambini - come mi pare sia il caso della signora Netrebko.

Sinceramente, più che altro mi colpisce la superficialità di questi curiosi che, di fronte a un'opera di Verdi e a una voce di tale bellezza, vanno a perdere tempo con questioni di cambiamenti di peso.

Ma alla fine contraddico me stessa dicendo che anch'io mi sono posta il "problema" e la mia teoria ce l'ho, riguardo al fatto che così spesso le cantanti liriche siano "presenze importanti".

E dunque:

Secondo me, cantare è un atto piuttosto intimo.
Cantando si emette verso l'esterno qualcosa di molto personale: la voce, che si forma dove il sangue pulsa più indifeso nelle arterie, e trova risonanza tutto intorno intorno al nostro cuore; il calore, che è il nostro corpo fatto temperatura; il fiato, che è l'aria che ci fa vivere...
E questa parte di noi così interiore le cantanti la buttano fuori su un palcoscenico, mentre se ne stanno esposte inermi allo sguardo e all'ascolto di centinaia di spettatori sconosciuti.
Ingrassare, dunque, potrebbe essere un modo per difendersi, costruirsi intorno una corazza, stabilire una distanza di sicurezza. Per tenere più stretta a sé questa cosa personale che, invece, viene sparata a tutta potenza fino in fondo al teatro, e se va bene persino al di là del mare, in altri continenti.

Io non canto, ma sto ingrassando lo stesso.
Forse perché mando in giro per il mondo, sotto forma di mail e post di blog, schiocchi pensieri che non mantengo intimi per me.

Buona settimana


Silvana


lunedì 7 dicembre 2015

7 dicembre 2015 - 24 ore di autonomia a 5 euro

Conosciamo noi stessi e mediamo il nostro rapporto con il mondo attraverso una serie di immagini che ci rappresentano.
Io, ad esempio, nella mia mente sono un enorme buco nero in cui, ogni poche ore, devo buttare qualcosa per non subire lo strazio della fame.
Quello che faccio rotolare nel buco che sono io, molto spesso, è una mela.
E dunque, oggi pago il mio tributo a questo frutto meraviglioso, che tante volte mi ha salvato la vita.

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Ritratto di Titina con mela

Le mele sono buone.
Solo un pizzico meno dell'acqua.
Infatti, sono composte di acqua all'82 %, ed esercitano un discreto effetto diuretico.

Le mele sono dure e portatili.
Non si spatasciano, se le butti in fondo allo zaino e te le porti dietro per la città, lungo il corso della giornata.

Le mele sono resistenti.
Se le dimentico in fondo a una borsa (possibile? Non me le sono mangiate?!), impiegano settimane ad andare a male. Forse addirittura mesi.

Le mele sono belle.
Da sempre, scatenano la fantasia dei pittori.
Con le mele delle nature morte di Cézanne ha avuto inizio la pittura moderna.

Immagine da Google
Dicono che con una mela abbia anche avuto termine la nostra felicità innocente, è vero.



Ma si sa: è solo un mito. Una storia che l'uomo si racconta per rappresentare la propria vita in allegoria.
Diciamo, allora, che la mela è affascinante, magnetica, e attira a sé un gran numero di narrazioni mitologiche: pensate a Guglielmo Tell, a Paride, e persino a Newton e a Dan Brown.

Immagine da Google


Con Dan Brown il tono è calato, lo ammetto, ma è soltanto un segno dei tempi. Sono i tempi moderni a calare di tono, insieme a noi. Non le mele

La mela ha una forma geniale.
Vi ricordate la storia della O di Giotto? Certamente, Giotto ne aveva appena mangiata una.

Ma prima, tanto esercizio con le pecore! (Immagine da Google)


La mela è semplice. Frutto di un concetto essenziale.
Forse non è nemmeno rotonda: la mela è la linea più breve che unisce due punti, ma nello spazio curvo einsteniano si è fatta crescere addosso una bella buccia sferica.

La mela è nutriente. Mi sfama.
I due punti che la mela unisce sono: Silvana affamata – Silvana sfamata. Almeno per un'oretta.
Dunque, teoricamente la mia giornata potrebbe essere rappresentata con 24 mele. All'incirca 5 euro di spesa dall'Uomo Valtellinese delle Mele che vado a cercare il sabato mattina al mercato dei contadini del mio quartiere.

La mela è versatile, protagonista di mille ricette.
Conoscevo una tipa simpatica che si chiamava Liliana. Una delle cose che mi sono rimaste stampate nella memoria, tra quelle che ha detto, è: ”Le mele mi piacciono pazzamente, mi piacciono cucinate in ogni modo. Anche semplicemente bollite con un po' di succo d'arancia. Ma anche solo con un po' d'acqua”.
Con queste parole, nella mia mente, Liliana ha rappresentato il suo pazzo amore per la vita.
E non solo il suo.


(altri preferiscono sex and drugs and rock&roll)

La mela è infinita.
Potrei  proseguire per pagine e pagine a parlare di lei, di quanto bene faccia all'economia del Trentino – Alto Adige, di quanto faccia male se la tiri in faccia ad un eventuale malintenzionato, di quanto mi diverta a farne in ceramica, di tanto in tanto,

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e invece mi fermo qui, perché sono pigra.

Ringrazio la mela, perché mi ha tirato fuori d'impaccio in molte situazioni – non solo alimentari.
Oggi, ad esempio, non sapevo che cosa scrivere. E mi sentivo molto svogliata.

Però vi lascio anche una raccomandazione: sbucciate le mele prima di mangiarle, perché mi hanno detto che nel corso della loro crescita sono sottoposte a 30 processi di disinfestazione antiparassitaria.
Forse anch'io sono un po' parassita, e un giorno soccomberò per aver mangiato tonnellate di mele avvelenate limitandomi a dargli una sfregata sui jeans.Chi lo sa.


Chiudo con la ricetta di una torta di mele buona:

Torta di mele buona

Mescolare
200 g. di zucchero
250 g. di farina
2 uova
1 bicchiere d'olio
100 g. di noci
4 mele a fettine, macerate nel succo di limone
spezie (tipicamente, cannella), 2 cucchiaini circa
un pizzico di sale
lievito.

Cuocere in forno un'oretta, prima a 180°, poi magari a 160.

Buon appetito.


E buona settimana!

Silvana



domenica 29 novembre 2015

30 novembre 2015 - Natale in biblioteca

Si avvicina Natale.
Fervono le attività nelle biblioteche del mondo.

L'anno scorso ho partecipato anch'io al Natalario organizzato dalle colleghe: una favola al giorno per i nostri utenti più piccoli, con regalino in tema, per concludere.



Io avevo adattato al contesto la storia di un mio librino, regalando qualche decina di topi di ceramica che avevo fatto a casa.

Quest'anno, l'iniziativa si ripete.

E dato che io sono una persona con pretese di originalità, ho cercato qualcosa da leggere nel vasto mare di quanto avevo scritto senza mai riuscire a pubblicare, una decina d'anni fa.
Ho trovato la storia seguente:


Il Capodanno del signor Armando
Ancora poche ore, e sarebbe scoccata la mezzanotte di San Silvestro.
L’enorme piazza della città straripava di folla: gente di ogni età si era lì riunita, come ogni anno, per festeggiare insieme, ascoltando il concerto offerto dal Comune, parlando, ridendo e scambiandosi gli auguri, come è consuetudine, in attesa di salutare l’anno nuovo.
Unica eccezione, un vecchio signore tutto vestito di nero che cercava di attraversare la piazza il più velocemente possibile, con il volto quasi completamente nascosto dalla sciarpa, accigliato e stretto nelle spalle.
“Cosa credono di combinare, tutti questi stupidi, riuniti qui in piazza? Cosa c’è da festeggiare? Perché non se ne stanno a casa loro, al loro posto, e fanno tutta questa confusione, questo disordine?”, borbottava nella sciarpa, mentre procedeva a fatica con un passo a destra e due a sinistra, stringendo con le mani affondate nelle tasche un enorme lucchetto, da una parte, e una valvola dall’altra.
“Fortuna che ho trovato aperto il negozio di serramenti e antifurti, mi sembra un miracolo”, pensava. “Lo sanno tutti che i ladri approfittano proprio di momenti come questi, quando tutti i gonzi vanno in giro a fare festa e lasciano le loro case vuote e abbandonate. Con la gente che c’è al giorno d’oggi…
Guarda questo re magio qui, ad esempio”, sibilava a denti stretti passando accanto a un africano che scuoteva ritmicamente una zucca piena di sassolini ed emanava bagliori candidi sorridendo in tutte le direzioni. “È proprio del colore adatto per passare inosservato di notte, e se lo sorprendono e scappa, ciao pepp’, non lo vedono nemmeno in faccia per poterlo denunciare!
Questi altri qui, invece”, borbottava passando accanto a un gruppo di uomini con la testa tonda tonda coperta da una foltissima capigliatura “questi qui sono quelli che si arrampicano dappertutto. Arrivano in cima ai grattacieli veloci come scimmie, e te li ritrovi in camera da letto con le mani sotto il materasso mentre dormi il sonno del giusto! E magari è il tuo ultimo sonno da vivo, perché quelli hanno il coltello facile…
Ma non riusciranno a fare fesso me! Con questi due ultimi pezzi, la mia casa è assolutamente sicura. Tutte le vie d’entrata sono protette, non c’è porta e non c’è finestra che non sia blindata o rinforzata, e se anche riescono a entrare, scattano tanti di quegli allarmi da svegliare i morti, e arriva subito la polizia a portarseli via con l’autoblindo!”
Nel corso degli ultimi anni, di fatto, il signor Armando aveva trasformato la propria casa in una fortezza. Si teneva aggiornato su tutte le innovazioni introdotte nei sistemi di sicurezza, e le adottava. I suoi interessi stavano tutti lì. Parenti non ne frequentava, amici non ne aveva e non ne cercava. Pensava solo alla sua casa, e a come proteggerla.
Attraversata a fatica la piazza, il signor Armando era praticamente arrivato.
Girò dietro un angolo, entrò in un portone, salì qualche gradino e, dopo un lungo sferragliare, varcò la soglia della sua dimora.
“Che bello, che bello, adesso mi metto qui tranquillo…!”, canterellava soddisfatto, mentre con i suoi nuovi acquisti perfezionava il suo poderoso sistema di difesa.
Quando ebbe inserito tutti gli antifurti ed ebbe fatto scattare l’ultimo lucchetto, il signor Armando si sentì finalmente al sicuro. Tirò un sospiro di sollievo, si spazzolò la polvere dalle maniche e, versatosi un bicchierino di porto, andò in soggiorno, a godersi quello che restava dell’anno vecchio in perfetta tranquillità.
Ma non appena si fu seduto in poltrona udì un frusciare, un battere lungo le pareti, dei rumori inspiegabili e inquietanti che sembravano provenire dalla canna fumaria del caminetto.
“È arrivato uno di quelli che si arrampicano! Il camino dovevo farlo murare! Come ho fatto a non pensarci, stupido che sono?”, si disse Armando, mentre correva in cucina alla ricerca del matterello.
Arrivò in soggiorno giusto in tempo per accogliere l’invasore che, in un gran nuvola di polvere e fuliggine, aveva già toccato terra e stava per rialzarsi.
“Beccati questo! E questo!”, urlava il signor Armando mentre menava colpi con il furore di un indemoniato, “Maledetto ladro, alla fine sei riuscito a entrarmi in casa, eh? Da quanto tempo mi spiavi? Pensavi di tagliarmi la gola e portare via tutto, non è vero? E invece avrai quello che ti meriti! Prendi questo! E questo!”
Il malcapitato stava steso sul pavimento e cercava di proteggersi la testa con i gomiti sollevati, senza emettere un gemito. Infine, una voce tonante e profonda risuonò:
“Fermati, Armando! Come osi farmi questo?”
Il tono era così autorevole che il padrone di casa rimase bloccato col matterello a mezz’aria, perplesso. Nella voce dell’intruso non aveva colto paura o dolore, ma una sicurezza e un’indignazione che Armando non riusciva assolutamente a spiegarsi. E quando i suoi occhi non furono più annebbiati dalla furia, vide sollevarsi lentamente da terra un bellissimo giovane senza né un livido né un graffio, alto e atletico, coi capelli lunghi arrotolati in voluttuosi boccoli biondi, vestito con una lunga tunica di stoffa azzurra cangiante che ricadeva morbida su due piedi vigorosi ed eleganti insieme, stretti da sandali di cuoio dorato. Dietro la schiena, sbattevano nervosamente con un frusciare da aquilone due enormi ali di penne colorate, simili a quelle dei germani che sguazzavano nel laghetto del parco cittadino.
Il signor Armando trasecolò, fulminato da tanta bellezza, che in precedenza aveva visto solo raffigurata in certe annunciazioni rinascimentali. Il matterello gli cadde pesantemente di mano con un rumore sordo.
“Ma tu… chi sei?” chiese al nuovo venuto con una voce che si era fatta sottile e tremante, portandosi una mano alla bocca.
Lo splendido giovane lo fulminò con lo sguardo e tuonò:
“Sono, anzi, ero il tuo angelo custode!”
“Oh, mio Dio…”, esclamò Armando, allarmato, e poi balbettò “Ti prego, perdonami! Pensavo che tu fossi… Ti ho scambiato per qualcun altro! Ma perché sei venuto giù dal camino? Ti ho fatto male? Cosa posso fare per te?”
“Settanta volte sette stolto, o miserevole uomo, tu per me, anzi per te, non puoi fare più niente! Ti ho smarrito poc’anzi nella confusione della piazza, ho pensato di raggiungerti qui, presso la tua dimora, ma ho trovato tutte le porte e le finestre sbarrate! E tu osi accogliermi a bastonate, anima persa… Ma non ti aduggiare per me, niente può ferire noi angeli. Offenderci, però, sì, possiamo, e tale è l’indignazione che mi arde nell’animo, che immantinente ti abbandono a te stesso, né più mai ti offrirò i miei servigi!”
Armando non ebbe tempo di aprire bocca per formulare una preghiera o una scusa: l’angelo in un istante si avvicinò a una finestra, l’aprì e sparì su nel cielo, mentre rintoccava la mezzanotte e mille fuochi d’artificio salutavano il nuovo anno.
Che per il signor Armando non durò molto a lungo: il giorno dell’Epifania fu travolto sulle strisce pedonali da un autotreno a rimorchio che aveva perso il controllo su una lastra di ghiaccio.
Le autorità che dovettero sbrigare le pratiche del caso riuscirono a fatica a introdursi nella sua casa. Per aggirare antifurti e asserragliamenti decisero di chiamare i pompieri, che dovettero calarsi, anche loro, giù dal camino.
“Strano!”, commentò il comandante in seguito, “Lo abbiamo trovato perfettamente pulito. C’era solo questa…” aggiunse, mostrando ai colleghi una lunghissima penna d’oro, che illuminava la caserma con mille bagliori.

Mi rendo conto molto bene che, così com'è, il racconto non è perfettamente adatto ai più piccoli...
Per questo lancio un appello: fatevi editor, datemi dei consigli, rimaneggerò la favola secondo le vostre indicazioni e fra qualche giorno leggerò proprio la storia che ci vuole. 
Proprio ma proprio quella!

Grazie.

E buona settimana.


Silvana

lunedì 23 novembre 2015

23 novembre 2015 - L'amore come l'arte

Non mi piace più frequentare il mio coro.

L'atmosfera è stagnante: rimaniamo mesi non dico sullo stesso pezzo, ma sulla stessa frase dello stesso pezzo. Non ci esibiamo mai. Ad ogni incontro, devo sopportare interminabili attese prima di poter provare la mia frase insieme alle altre contralto.
Insomma: a me piace cantare, e col mio coro canto pochissimo.

Il problema è che, secondo me, l'interesse che per noi nutre il maestro - persona molto molto impegnata - è limitato. Non siamo professionisti, e non gli porteremo mai prestigio. Però, perché rinunciare a quest'attività di un'oretta e mezza alla settimana?
Si inserisce il pilota automatico, e via. Passa veloce.

Purtroppo, la mia inerzia è più grande della sua: cercare un altro coro che sia in zona e che mi piaccia mi costerebbe tantissima energia. E poi, chi mi dice che riuscirei a trovarlo?
Quindi, rimango.

Tanto più che fra poco è Natale!


​Creiamo l'atmosfera!

E Natale è l'unica occasione in cui usciamo dalla sala della scuola umida e cadente in cui proviamo per mostrarci in pubblico.

Dunque, il 13 dicembre canteremo due brani.
Il mio preferito è questo:


Io lo trovo molto bello?
E anche piuttosto difficile.
Fortuna che almeno il testo si impara velocemente: sono solo due frasi.

Solo due frasi.

Non sembra, vero?

Si può verificare con Google: i cantori si limitano a dire: Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te Deus. Sarebbe a dire: Come il cervo agogna l'acqua delle fonti, così l'anima mia agogna te, o Signore.

E questo mi ha sempre colpito della musica barocca: i testi, a ben guardare, sono brevi. Brevissimi. Ma finché non fai una piccola ricerca, punta dalla curiosità di verificare, non te ne rendi conto.

Quando la Didone di Purcell si uccide, malata d'amore per Enea, sembra che non la smetta più di dichiarare cause e intenti



E Cesare e Cleopatra, quando amoreggiano nell'opera omonima di Handel, 


si dicono in tutto sei frasi. Si può verificare qui


Ma in tutti questi esempi, tale è la bellezza della musica, la ricchezza dell'orchestrazione, la magia del momento, la pienezza ela densità dell'emozione, che il testo sembra lunghissimo. Le parole numerosissime.

Ma l'arte sostituisce le parole e non se ne sente la mancanza.

Questo ha riportato alla mia mente un ricordo.

Quando ero innamorata - le volte che mi innamoravo - pensavo molto a quello che amavo.
Gli pensavo moltissimo.
Ma se dovessi dire di preciso cosa pensassi, non saprei ripeterlo.
A tradurlo a parole, l'attività della mia mente - ammettendo che il mio lui si chiamasse Paolo - potrebbe essere espressa  così:

"Paolo amore Paolo Paolo Paolo amore ammore amore amo' amoré Paolo amore Paolo Paolo Paolo amore aaaaaah amoreeeeeeeeh! Paolo Paolo Paolo Paolo oh Paolo amore amore amore".

E il tempo passato con queste due parole in testa mi sembrava molto denso, ricco, bello, interessante, coinvolgente, variatissimo.

L'arte come amore.
L'amore come l'arte.

Son felice di averne conservato il ricordo.




Buona settimana!

lunedì 16 novembre 2015

16 novembre 2015 - Parole

Parlo del più e del meno con una collega, qualche giorno fa, e il discorso cade sui social network.
"Io ho aperto una pagina su Facebook per poter seguire quella della lotta sindacale a cui partecipo", mi dice lei "ma a fine anno, coi risultati della vertenza, la chiudo. Che perdita di tempo! Facebook è solo un ricettacolo di narcisisti. Ad esempio, hai visto la pagina di Tale Persona? Mamma mia, posta solo fotografie di se stessa! Lei con le scarpette ginniche, lei in cucina, lei in discoteca, lei pronta per la sauna, lei uscita dalla sauna... Guarda, una vera narcisista all'ennesima potenza!"

E qui, mi viene fatto di pensare al termine "narcisista".
Narcisista è un termine scientifico. Indica un aspetto della personalità che viene esaminato nelle sue manifestazioni. E dal momento che è nominato, conosciuto, studiato, i narcisisti possono essere corretti (forse), previsti (certamente: nessuno è più prevedibile di un narcisista), o evitati (l'opzione migliore).

Una volta, invece di "narcisista" avremmo detto "vanitosa".
La vanità è uno dei vizi capitali. Un peccato. Come tale va confessato, emendato, o scontato all'Inferno.


​Tiziano: "Vanitas"


Ma il termine "vanitoso", o ancora meglio: "superbo", ha un impatto diverso dal dire "narcisista".
La scientificità del termine, in un certo senso, giustifica la caratteristica.
L'annacqua.

Allo stesso modo: si può dire che qualcuno abbia una personalità sadica.
Ma anche che sia cattivo.
"Cattivo" è un termine dal sapore un po' infantile, sembra venir fuori dal mondo delle fiabe.
Infatti, i cattivi non esistono più. 
Si può nascere in condizioni sfavorevoli, che ti portano a sviluppare certi lati della tua personalità, ma non si può più dire che qualcuno sia "cattivo".
Soprattutto, cattivi non si nasce. (Ma forse sadici sì).


​Simone Rea, da "Favole" di Esopo, ed. Topipittori

Io stessa, di me, posso dire che il mio tono vitale è basso. Che ho poca energia di base.
Ma forse sarei più sincera se dicessi, semplicemente, che sono pigra.

Le parole vecchio stile sono maleducate, grezze, un po' ignoranti, però hanno tutt'un altro impatto, in confronto al corrispettivo colto e politically correct.
Non mascherano nulla.
Sono evidenti come il pane.

Un termine molto moderno che non lascia niente all'immaginazione, invece, è "terrorismo".
Se ne sente parlare così comunemente che ne dimentichiamo la radice.
Colpiva relativamente di rado.
Relativamente lontano.
Finché colpisce vicino a noi, oggi, adesso, e ricordiamo che la radice di questa parola è "terrore".

Chiede Marie, una mia amica parigina, che è maestra elementare: "Domani vado a scuola. Cosa diranno i bambini di quello che è successo? Che cosa potrò dire loro perché non abbiano paura?"

A volte, semplicemente, si rimane senza parole.



Buona settimana.



Silvana

lunedì 9 novembre 2015

9 novembre 2015 - Punti di vista

In una delle solite liste di consigli americani che ti insegnano come vivere ho letto: "Sappi raccontare almeno una barzelletta".


Dunque, la mia barzelletta è questa:

Un uomo guida in autostrada, di notte.
E' solo su un nastro di oscurità.
Accende la radio e il bollettino dice: "Attenzione! Si segnala un conducente contromano sulla A98"
"Eccolo!" grida l'uomo, mentre schiva un frontale.
E dopo qualche minuto: "Eccone un altro!"
E dopo: "Un altro!"
E subito dopo: "Incredibile: ancora uno!"

Così, l'altro giorno meditavo  sul fatto che lavorare al pubblico, come faccio io, ti dà la possibilità di verificare quanto sia diffuso il disagio mentale.
E non mi riferisco solo ai soggetti obiettivamente pericolosi che sempre più spesso minacciano di morte noi, pacifici bibliotecari. 
La mia mente correva ai bizzarri leggermente devianti, ai sofferenti, ai cupi solitari e silenziosi, ai confusi, ai logorroici, insomma a tutta quella zona grigia in cui idealmente stanno coloro che del tutto nella norma non sono, ma non se ne distaccano poi tanto, e che frequentano il posto in cui lavoro come utenti.

D'altronde, chi è normale e chi non lo è?


Da qualche tempo, quando con un lato del cervello esprimo valutazioni di questo tipo sulla gente, subito nell'altro mi si accende splendida come un tubo al neon la domanda: "E io?"

Io di me so solo che anni fa sono stata trasferita dalla biblioteca dove lavoro adesso per andare a lavorare in un'altra, ancora più periferica, in cui "Hanno bisogno di gente in gamba come te", come mi disse il Responsabile che mi stava mandando via.
Di fatto, il personale in forza laggiù era tutto in vario modo problematico.
Ma forse - mi è sorto il dubbio dopo qualche tempo - in realtà io ero finita in quella biblioteca in quanto personaggio bizzarro e problematico quanto e più degli altri.
Non saprò mai la vera verità.

Così, quando la settimana scorsa vi ho scritto dei problemi di manutenzione che mi si presentano in casa, mi è tornato in mente un bellissimo libro di Hrabal

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in cui, come intermezzo scherzoso, si narra la storia di una ragazza che, per costruire la propria casa si fidanzata prima con un muratore, poi con un piastrellista, poi con un idraulico, poi con l'elettricista... E alla fine riesce a farsi una bella casetta.
Questo è quello che ci vorrebbe per me! Mi sono detta.
Un bravo handyman. HANDYMAN : che parola meravigliosa!

E poi, voglio anche un dentista che mi curi quei miei problemi cronici di salute


E un violinista che mi diletti con la sua musica, ma solo quando lo dico io


E, naturalmente, voglio un uomo molto bello per tutte quelle cose a cui può servire un bell'uomo.

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Immagine da Pinterest. 
Tanto, non è il mio tipo...

Perché io ho tanti, tantissimi bisogni.
E un eventuale fidanzato dovrebbe soddisfarmene almeno, diciamo, un ottanta percento.

Ma poi mi si è acceso il solito tubo al neon del cervello, e mi sono chiesta: ma se alla fine conoscessi qualcuno che, invece, ha bisogno di me?
Lì, non ho saputo cosa rispondermi.

Come cantava Renato Zero: non l'avevo considerato.

Buona settimana


Silvana