lunedì 30 ottobre 2017

30 ottobre 2017 - Solo due parole su Parigi, ma elevate

Nella mia vita sono andata a Parigi, in media, una volta ogni 10 anni.
Ho iniziato quando ne avevo 17.
In quell'occasione, non mi è piaciuta e non ho capito niente.

E' vero, la compagnia dei miei compagni del liceo avrebbe scoraggiato anche la debuttante più entusiasta. 
Di fatto, paradossalmente, credo che ad apprezzare Parigi si impari col tempo.

Tendevo a pensare che la maturità ci rendesse più care le piccole gioie della vita: il cip-cip degli uccellini, il calore dei gattini, la luce che entra in casa e si fa un giro sulle pareti, il colpo di vento che gonfia una tenda...
Parigi non appartiene a questa categoria.
Parigi è una città che ti frastorna e ti soverchia.
Con tutte quelle vie, quei monumenti, quei turisti, quei parigini, quelle vetrine, quei mezzi di trasporto sulle strade, e i musei, le gallerie, e il tempo che cambia mille volte al giorno, e la consapevolezza che se volessi vedere un film, fare un corso, o qualsiasi cosa ti passi per la testa, qui puoi.
Come diceva quel signore là, chi è stanco di Parigi è stanco della vita.
O all'incirca.

A un certo punto, per non soccombere bisogna scegliere.
E forse questo è il discrimine che ti porta ad apprezzare Parigi in età matura.
Accettare il limite e farne il tuo alleato.
Ad esempio: adottare una prospettiva, un punto di vista per volta.

In occasione del mio primo viaggio, ricordo che mi aveva colpito la quantità di riflessi e specchi profusi ovunque.
Non che questa volta non mi abbiano colpito.

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Un angolo a 90° di puro specchio, lungo la strada

E non è che non abbia apprezzato, ad esempio, il lato acquatico della capitale.
Ma i ponti sono un po' le ascelle di Parigi, e io non sono abbastanza intima da apprezzarne la familiarità.

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Il primo giorno che sono andata in centro con la mia amica Marie, invece, ho alzato gli occhi al cielo, e ho visto il sole che giocava ad illuminare i campanili di Notre Dame.
Sembrava che la cattedrale fosse viva.
Era viva, era bellissima, e danzava sotto i miei occhi.
Allora, in un attimo mi è sembrato di intuire la volontà degli uomini che hanno costruito le cattedrali, e il significato e il privilegio di averne una nella propria città.

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Da quel momento, sono rimasta col naso per aria, perché tra tutto quello che offre Parigi, questa volta, io ho guardato soprattutto quello che stava in alto.

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Buffi campanili lungo le poche strette strade medievali

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I monumenti ai re di bell'aspetto

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La Tour Saint Jacques, così solitaria e maestosa

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Le vetrate della Sainte Chapelle

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I dettagli delle decorazioni bell'époque

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I dettagli dei palazzi borghesi, che trasudano ricchezza come se fosse una materia grassa.

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Madonne poche, ma di dimensioni importanti.

E chi più ne ha più ne metta:

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E per chi avesse ancora dei dubbi sulla vocazione verticale di Parigi, l'asso nella manica:

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Ho letto che Parigi ha le sue catacombe.
Io non ho molta propensione, ma non si sa mai. Vedremo la prossima volta che vado a Parigi. 
Se non mi porta via prima un incidente in bici - ad esempio - potrei avere intorno ai sessant'anni.

Buona settimana!

Silvana

lunedì 23 ottobre 2017

23 ottobre 2017 - Un cerchio raccontato in fretta

Sono in viaggio, non posso disporre della mia tecnologia, saro' breve.
Il primo viaggio che ho fatto da sola e' stato a Londra.
A 19 anni sono andata due mesi a pulire la casa di una famiglia odiosa che abitava nella periferia Nord, la' dove nacque Geore Michael, e sono stata cosi' sciocca da non scappare subito a gambe levate. O da mettergli il veleno per topi nella minestra.
Ho inventato una scusa per tornare a casa quando ho capito che avrei dovuto dormire nella mia stanza imbiancata di fresco.
Non volevo sopportare anche i miasmi della tempera. Quelli, no.

E dunque, mi alzo con le galline, abbandono la casa di cui conoscevo ogni angolo (ero io che lo avevo ripulito, per otto settimane) trascinandomi dietro un valigione senza rotelle. A quei tempi, le valigie di rotelle non ne avevano. Incredibile, vero?
Raggiungo la fermata dell'autobus che doveva portarmi alla stazione della metro.
Salgo sul mezzo.
Allungo una banconota da mille sterline (faccio per dire) alla signora che vende i biglietti.
Io non ho moneta. Lei, alle 6 di mattina, non ha moneta.
Mi fa l'occhiolino, e con un gesto del capo mi invita a viaggiare a spese della Regina.
Avrei voluto baciarla.
Non l'ho baciata, e piano piano me ne sono tornata a casa mia.

Un'oretta fa.
Sono a Parigi.
Ho fatto un giro in centro, da sola.
Voglio tornare a casa di Marie, che mi ha invitato, e salgo sull'autobus.
Cerco il biglietto davanti al guidatore-bigliettaio, e non lo trovo.
"Sono sicura di averlo!" dico al signore al volante, mentre mi sento diventare tutta rossa. "Beh - risponde lui, tranquillo - si sieda e lo cerchi con calma.
o mi siedo, rivolto tutte le tasche del prtafogli 18 volte, ma il biglietto non salta fuori.
Torno dal conducente con la mia brava moneta in mano.
"Non l'ho trovato, lo devo rifare".
"Ma dov'e' che deve scendere?" chiede lui.
"Boulevard Foch".
"O, beh... - mi fa l'occhiolino, e con un gesto del capo mi invita a viaggiare a spese di Macron - Per questa volta fa niente".

A tutti i funzionari pubblici comprensivi con le ragazze sprovvedute, e con le signore di mezz'eta' confusionarie.
Grazie.

Alle esperienze che si ripetono uguali a 33 anni di distanza, riportandoci tanti ricordi e la sberla del tempo che passa.
Grazie lo stesso.

A voi tutti, buona settimana!

Oppure,  bonne semaine, si vous voulez.


Silvana

lunedì 16 ottobre 2017

16 ottobre 2017 - Andavo molto in autobus, e non era bello per niente

Una volta prendevo gli autobus molto più spesso.
Ero più giovane. Avevo più energie.
Correvo avanti e indietro tra università, casa, lavori e lavoretti, e chi più ne ha più ne metta.
Sempre in ora di punta.

Era insopportabile.


Le discussioni erano all'ordine del giorno. Stare incollati ai nostri simili, si sa, ci rende pazzi.
A me capitava di mandare a quel paese (per lo più, tra me e me) delle persone che facevano una certa cosa all'andata, e poi al ritorno la facevo io stessa. E mi incavolavo se qualcuno aveva da ridire.

Un episodio di discussione sull'autobus ricordo più di ogni altro.
Ero salita in testa. L'autobus era già pieno.
Per qualche ragione, volevo spostarmi in coda.
Mi incuneo tra la gente per farmi strada, trascinandomi dietro la cartella di cuoio (l'avevate anche voi una cartella di cuoio, vero? Magari comprata in Grecia!).

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Immagine da Google

La borsa rimane indietro. Si incastra tra la gente. Io, per recuperarla, la tiro.
Un signore anziano (forse avrà avuto la mia età di adesso? Chi lo sa...) con una grande pancia mi rimbrotta.
"E perché lei va in giro con tutta quella roba?"
Io trasecolo. Quella roba mi serve per fare quello che devo fare, mica mi tiro dietro uno zaino da montagna! Però gli rispondo:
"E perché piuttosto lei non dimagrisce un po'?"
Quello ci rimane malissimo. Spalanca gli occhi. Diventa tutto rosso. Quasi gli manca il respiro.
"Ma... Ma... Ma guarda un po' cosa gliene importa a lei se io devo dimagrire o no! Ma perché poi dovrei dimagrire, per la sua bella faccia? Perché se lo lasci dire, la sua faccia è proprio bella!"
E io, ricevuto questo complimento così fuori contesto, ho perso il dono della favella.
Non sapendo più cosa rispondere, ho proseguito la mia rimonta verso il fondo dell'autobus con la coda - o la cartella greca - tra le gambe.
Non escludo di averlo persino ringraziato.

E così, oggi volevo raccontare dell'ultimo mio libro, pubblicato all'inizio di settembre

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per riferire una serie di cose che mi hanno fatto male, nell'occasione.
Ma poi ho ricevuto questa mail dall'editore

Cara Silvana,
Ti ringrazio per la collaborazione. Scritto breve, ma bellissimo. 
Se mai avrai voglia di scrivere altro per il nostro blog, ne saremmo contentissimi.
Un saluto e buona giornata.
Giovanna

che mi annunciava la pubblicazione sul loro blog di un intervento che mi avevano chiesto diversi giorni prima.
Questa mail mi ha fatto molto piacere, ho provato sollievo e sono stata contenta.

Avevo conosciuto un tipo, tempo fa, che mi raccontò di avere una regola, nella vita: se aveva qualcosa di bello da dire a qualcuno, se pensava qualcosa di buono, glielo diceva sempre. Sempre sempre sempre.
Mi sembra una regola da seguire.

Spesso stiamo male, e diventiamo rancorosi e aggressivi, perché ci sentiamo maltrattati e mal giudicati.
Magari non sempre è vero.

C'è tanto male al mondo, così evidente.
Il bene a volte si nasconde.
Quello esplicito funziona di più.


Buona settimana!


Silvana


lunedì 9 ottobre 2017

9 ottobre 2017 - Ricordo d'estate

Ricordo che l'estate scorsa, un giorno, attraversai la piazza della stazione a Francoforte, e nel vedere il monumento che la sovrasta

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pensai: Ecco, sì, quello senza dubbio è il monumento alla pesantezza della convivenza.

Abitavo da Manuela Trenen (nome fittizio), 

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Eccola qui

che avevo conosciuto l'anno prima, avendo affittato presso di lei una stanza per due settimane, in occasione del precedente corso di tedesco.
In quell'occasione ci eravamo trovate molto bene, io con lei e lei con me.
Manuela abbandonava soldi contanti in giro per la casa, senza dubitare che io glieli facessi sparire. E io non glieli facevo sparire.
Non ci capivamo perfettamente, perché la mia predisposizione per il tedesco rimarrà per sempre scarsa - e la sua per le lingue in genere pure, ne sono sicura - ma un giorno Manuela mi disse (credo): Cosa importa se non capiamo quello che ci diciamo? L'intesa fra noi va oltre le parole.
E io pensai che una cosa bella così non me l'aveva detta ancora nessuno.

L'inverno seguente, io vissi con la certezza di avere un'amica in Germania.
Ecco perché sono tornata da lei, a giugno.

A giugno, però, ho dovuto verificare che qualcosa era cambiato.
Ad esempio, una mattina molto presto stavo facendo colazione da sola in cucinino.
Manuela ha fatto irruzione all'improvviso, come una furia semiaddormentata, per afferrare la borsa che aveva abbandonato su una sedia lì vicino, la notte prima, e poi sparire di nuovo nella sua stanza portandola in salvo. Come se temesse che io potessi frugare e rubarle qualcosa.
Oppure, una sera che siamo uscite a berci una birra, poco prima che io tornassi a Milano, ho cercato di illustrarle in tedesco un pensiero un po' strutturato sulla valigia che avevo terminato di preparare. Non avendomi capito, gliel'ho ripetuto in italiano. E lei mi fa: "Non vorrei deprimerti, ma ti capisco molto meglio quando parli la tua lingua" (sottintendendo con questo che il mio tedesco è davvero pessimo, visto che il suo italiano lo era altrettanto).

Qualche settimana fa ho scritto qualcosa sulla bellezza, affermando che la cosa migliore è lasciar perdere quello che pensano gli altri, e sentirsi sempre e comunque bellissimi, perché in ogni caso, almeno in prospettiva, lo siamo.

Penso lo stesso per quanto riguarda l'idea che gli altri ci rimandano, sul nostro valore assoluto.

Tornando al mio esempio, io dico: ho fatto qualcosa di speciale per meritare che Manuela, nel 2016, dopo 10 minuti che mi aveva conosciuto, mi dichiarasse: Sono così contenta che sia arrivata tu qui da me, a casa mia...
In effetti, no.

Ho fatto qualcosa perché nel 2017 mi guardasse con aria interdetta, senza osare dire niente (tanto non l'avrei capita) dopo ogni mio atto: se facevo delle foto, se mi compravo una canotta, se non mangiavo il gelato tedesco, sempre mi osservava a lungo con volto privo di espressione, che certamente presso altri meno verbalmente reticenti sarebbe stata all'incirca: "Sei proprio sicura? Ma a te come salta in mente di comportarti così? Ma non lo capisci che sei subnormale?"
No, nel 2017 non ho fatto niente per meritarmi questo.
Io ero la stessa persona dell'anno precedente.
Lo sono ancora adesso.

Quindi: non occupiamoci di quello che gli altri ci proiettano addosso.
Sono fatti loro. Non ne siamo responsabili.
Dobbiamo vivere una vita degna a prescindere, per essere contenti di noi stessi sempre e in ogni caso.

L'importante è conoscere un numero abbastanza alto di persone: statisticamente, qualcuno che ci stima dovremmo riuscire a incontrarlo anche noi.


Sono cose banali, lo so.
Non c'è poi bisogno che vi mandi una mail il lunedì per predicarvele.

Il fatto è che quando scrivo di un qualsiasi episodio, o pensiero, o ricordo, in genere lo cancello dalla mia mente.
E Manuela io desidero davvero dimenticarla.

Fuer immer.




Buona settimana!

lunedì 2 ottobre 2017

2 ottobre 2017 - Il materialismo storico, due bei film e un pinguino



Sono una donna del secolo scorso.
Quando sono nata, la televisione aveva solo due canali, e non trasmetteva niente né di notte, né di mattina. Bimbi insonni? Contassero le pecore.
Se ti perdevi in una forra oscura e fredda morivi, perché non potevi chiamare soccorso col cellulare.
Le biblioteche avevano cataloghi fatti di pizzini scritti a mano, al massimo a macchina, che potevi consultare solo sul posto.
Se volevi scrivere un romanzo, te lo dovevi battere direttamente sul foglio. Al limite, con la carta carbone potevi ottenerne una copia in più.

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Immagine da Google

E se facevi il liceo, ti insegnavano la teoria marxista del materialismo storico sottintendendo che era buona e giusta.

Sono un'ignorante di ritorno.
Di quello che ho appreso, ricordo poco. Di quasi tutto, potrei fornire solo spiegazioni insufficienti a scrivere un manuale per bambini delle elementari (o si dirà scuola primaria inferiore, oggi?).
Ad esempio, ricordo che secondo il materialismo storico tutto è espressione del sistema economico in vigore, anche e soprattutto le manifestazioni culturali, e che in campo artistico non esiste un soggetto individuale vero e proprio. Questa poesia l'ha scritta Tizio, ma se non l'avesse scritta lui avrebbe provveduto Caio, perché l'economia la faceva girare nell'aria. O qualcosa del genere.

Di fatto, quale teoria filosofica che ci aiuti a interpretare il reale venga insegnata oggi come particolarmente veritiera, non lo so.
Fondamentalmente, sono un'ignorante anche di andata.

E al materialismo storico, oramai, penso solo in rare occasioni.
Generalmente, quando guardo un bel film.

Ad esempio, gli ho pensato quando ho visto "Il Ponte delle Spie" di Spielberg.


Con Il Ponte delle Spie, scriveva il critico  del Corriere, o forse di Repubblica, Spielberg prosegue la sua ricerca sull'Ideale di Vita Americano.
A me pare, invece, che Spielberg stia portando avanti una sua ricerca sul ruolo dell'individuo nella società (tendenzialmente americana, ma non per forza), e su tutto quello che lo rende unico e irripetibile, tra i suoi simili.
Pensate ad esempio a La lista di Schindler.
A un certo punto, tutti gli operai ebrei della fabbrica vengono trasferiti, e sostituiti da nuovi forzati.
Quello che fa Schindler è battersi come un leone, con tutti i mezzi a sua disposizione, per riportare la sua squadra di prima sotto la sua ala protettrice. "E che caspita!" - mi sono detta io, quando l'ho visto. "Salva i suoi, però di mandare questi nuovi a morte certa non si fa problema!" 
Salvare gli uni piuttosto che gli altri, per lui, non era lo stesso?
No, non è lo stesso. L'ho capito solo più tardi.
La logica dei grandi numeri anonimi era proprio quella dei nazisti.
Schindler voleva bene a delle persone particolari. Proprio quelle lì. Voleva salvare i "suoi" ebrei, non altri.
Perché quelli erano gli individui a cui voleva bene.


Allo stesso modo, l'avvocato James Donovan (qui la trama del film Il Ponte delle Spie https://it.wikipedia.org/wiki/Il_ponte_delle_spie ) si batte come un leone perché il prigioniero russo venga liberato.
Sopporta il disprezzo e l'ostracismo della società e della sua famiglia perché vuole applicare in pieno l'ideale di giustizia della Costituzione americana. Inoltre, ha conosciuto la spia sovietica, Rudolf Abel, l'apprezza come individuo e per questo vuole del bene a lui, personalmente.
Per finire, e soprattutto, non vuole tradire l'idea che ha di se stesso come uomo giusto.
E la sua fermezza, la sua scelta, cambiano l'ordine della Storia.

Un film in cui ancora più chiaro è il valore delle scelte individuali, in contrapposizione alla marea degli eventi, è Diplomacy


Avevo una professoressa, alle medie, che diceva che nel momento del bisogno gli uomini giusti si trovano tutti dalla parte giusta.
Protagonista di questo bellissimo film, che si svolge tutto in una stanza d'albergo o quasi, e che è tutto parlato, è il generale nazista Dieter von Choltitz.
Un nazista! 
Nel momento storico in cui più di ogni altro, nel nostro immaginario collettivo, gli individui sono stati chiamati a essere giusti o ingiusti, lui era dalla parte sbagliata. Decisamente. Innegabile. Non c'è di che.
Un nazista...

Eppure, non ha bruciato Parigi.
Una scelta individuale che, nel corso della Storia, ha avuto il suo bel peso!

E qui, oltre a invitarvi a guardare il film personalmente, ricorderò solo quello che raccontano le guide parigine parlando di lui: Dieter von Choltitz si è opposto agli ordini del Fuehrer non bruciando Parigi perché era cresciuto in una famiglia che gli ha insegnato ad amare l'arte e la bellezza.
Questo l'ho sentito raccontare da Madame Dupont, mentre attraversavo il nono Arrondissement della capitale francese su un pullman, insieme ai miei compagni della scuola di ceramica e di pittura. 
E le ho creduto ciecamente.

E dunque, mentre da giovane mi hanno insegnato che siamo in balia degli interessi economici e della bramosia dei potenti, da grande sono affascinata dalle storie in cui gli individui si oppongono agli eventi in nome dell'umanità, della bellezza e di se stessi.

Nonostante tutto il mio pessimismo, credo che chiunque di noi possa fare una differenza, nel corso degli eventi.
Io, ad esempio, sabato scorso mi sono travestita da pinguino e ho aiutato Marilena (che si è data da fare come una dannata, onore e grazie a Marilena!) a mettere in scena una caccia al tesoro di grande successo, nella mia biblioteca.

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Che un individuo ricordi di essersi divertito, un sabato pomeriggio, al parco, perché qualcuno si è occupato di lui, quando era un bambino, è un piccolo contributo al corso buono della storia.
Ma meglio di niente.



Buona settimana!


Silvana