lunedì 26 febbraio 2018

26 febbraio 2018 - Come le mele

Io mangio mele in gran quantità perché possiedono innumerevoli virtù. La principale è che sono buone.
Eppure, con tutto l'amore che gli porto, di tanto in tanto mi stufano e mi dimentico della loro esistenza. Mi butto piuttosto su arance, pere, banane e cioccolato.
Poi però, quando di nuovo una mela incrocia il mio cammino, al primo morso vado in visibilio. "Che frutto meraviglioso, che sapore paradisiaco... Ma come ho fatto a scordarle?", mi dico.

Poi, tempo fa dicevo di Parigi.
Parigi, città meravigliosa, dalla bellezza così evidente, le prime volte che la vedi può lasciarti un po' perplesso.
Forse non ammettiamo di essere soverchiati da nulla, neanche dallo splendore. Forse amiamo cercare quello che poi finisce con l'appartenerci.
E dunque, ad ammettere che Parigi è bella assai ci si mette un po'.

Io alle mele e a Parigi accosto lo scrittore Andrea Camilleri.
Lo leggo, e molto, nella mia vita, ma a periodi solamente.
Termino compulsivamente due o tre opere, anche quattro di fila, e poi dimentico la sua esistenza.
Eppure, Camilleri è uno scrittore che ha solo meriti - o quasi.
Di questi vi dirò.
A cominciare da questo: sa stupire.

Ho sempre trovato che le figure femminili, in Camilleri, siano poco profonde e sfaccettate, anzi piuttosto fredde e stereotipate.
Questa la maggiore sua pecca, a mio parere.
Forse paga, il Nostro, il fio di una totale eterossessualità, per via della quale una donna in fondo è fondamentalmente una preda, un oggetto del desiderio, comunque ci giri intorno.
Ma ultimamente ho letto "Il sonaglio",

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che è una storia d'amore tenerissima, molto sentita dall'autore - con ogni evidenza, perché altrimenti tanta tenerezza non potrebbe essere comunicata a noi.
E sì, con questa fiaba così originale, che sembra scappata dalla raccolta di Basile, con la compassione e la dolcezza che ha saputo comunicarmi (sarà che sono abbastanza animalista - voi, se leggerete, capirete cosa intendo dire), Camilleri mi ha proprio stupito.
Diciamo che è un autore che ha molti toni al suo arco.

Poi, Camilleri insegna a lasciarsi andare all'ignoto con fiducia. Come quando si fa il morto in mare.
Io col dialetto siciliano non ho familiarità. Ogni volta che riprendo a leggerlo mi dico: Non lo capisco. Invece, poi, lo leggo e capisco.
Anche perché la lingua di Camilleri è bella! Questo aiuta sempre. E ci dimostra quanto ha perso l'italiano standard a chiudere i contatti con i dialetti e le parlate locali, così piene di vita e di colore.
Ad esempio, alla pagina 170 di "Giro di boa" trovo: "Taliò e ritaliò fino a quando li occhi gli fecero pupi pupi", "Ci aveva inzertato", "Era necessario andarci a taci maci". E più ne leggi, più ne incontri. E più ne incontri, più principi in un vidiri i svidiri a ragiunari col ciriveddro siciliano macari tu.
Più o meno.


Inoltre, mi piace il paese in cui Camilleri mi fa viaggiare. Che è la Sicilia, ma è soprattutto la sua testa.
E se poi in fondo non è che la Sicilia, allora dirò che con tutte le mafie e le storture che lo Scrittore non nasconde, è una Sicilia bella, di sole e mare, dove si mangia bene, e dove c'è tanta gente brava.


E Montalbano è il numero uno.
Questo nostro eroe nazionale che corre, si arrampica, si cura gli infarti da solo, guida male, mangia tanto, si incazza, tratta male Catarella e poi lo coccola, ama Livia, la tradisce ma non troppo, è meglio di noi, ma è anche molto come noi, quindi ci spinge a migliorarci.

E a ogni giro della spirale in cui lo ritrovo, dopo anni che lo dimentico, è anche lui invecchiato, come me.

E questo vuol dire che siamo proprio nati per capirci. 


Buona settimana!


Silvana


lunedì 19 febbraio 2018

19 febbraio 2018 - Reticenze ed espressioni

Sono una lettrice forte, e ne sono contenta.
Nonostante questo, non ho mai creduto che un solo libro mi possa salvare la vita, o anche solo cambiarla.

Ma devo ammettere che questo saggio in particolare

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mi ha aperto gli occhi su molti lati di me stessa, e offrendomene una spiegazione "scientifica", e rivelandomi che ad essere così siamo tanti, mi ha molto consolata. E giustificata.

Mio padre, quando da piccola non mi dimostravo vivace e ciarliera con gli adulti sconosciuti, ci rimaneva male e me lo faceva pesare.
Nei gruppi di persone che conversano non mi trovo bene. Non riesco a seguire il filo del discorso, persino.
La spiegazione più semplice potrebbe essere che non sono troppo sveglia.
In realtà, come mi ha ben illustrato Susan Cain, io sono una perfetta introversa. Dunque, non amo indulgere nello small talk. Tante voci che risuonano contemporaneamente mi frastornano e mi annoiano. 
Non sono cattiva, tanto meno superba: il mio cervello funziona in un altro modo.

E se non ho nulla da dire, taccio.

Stamattina, ad esempio, non avrei niente di particolare da raccontare.
Però vi scrivo, e cercherò di spiegare quanto sia importante per me farlo.

Nel corso di questi anni, le mail che vi invio mi hanno costretta a concentrarmi su me stessa e sui miei pensieri in un modo costruttivo.
Mi hanno tenuto coi piedi per terra.
Hanno mantenuto un sia pur vago legame tra me e la scrittura.
Mi hanno permesso di tenere un legame con voi.

Per anni ho sofferto per le parole d'amore che mia madre non mi ha mai rivolto.
E per quelle che non mi hanno rivolto gli uomini che in qualche modo mi sono stati vicini.
Mi ha consolato intuire che ciascuno si esprime come può. Mia madre mi ha fritto e dato da mangiare tonnellate di bistecche, perché questo era il suo modo di dimostrarmi affetto cura e attenzione.
Un certo fidanzato che ho avuto apprezzava massimamente che tacessi, e faticava a parlarmi e a scrivermi. Però aveva un enorme talento per le arti figurative, e mi ha regalato tanti disegni bellissimi.

Io non parlo molto, ma ogni tanto vi mando una mail.
Non apprezzo di essere criticata per cosa e come scrivo, perché questo è il mio spazio di libertà. 
Ho bisogno che mi rispondiate, di tanto in tanto, perché altrimenti sento di parlare nel vuoto, e comincio a temere di essere considerata come spamming.
E vi sono immensamente grata per l'affetto che mi dimostrate, seguendomi.

Insomma: il gatto dice miao, il cane dice bau, io, se vi va, vi dico


Buona settimana!


Silvana


lunedì 12 febbraio 2018

12 febbraio 2018 - Gesti

Io non capisco il gergo dei critici d'arte.

Come tutti gli idiomi delle congregazioni e delle sette, talvolta mi pare fatto più per escludere gli altri che per trasmettere senso.
Riesco magari a intuire un messaggio, piuttosto che comprenderlo, come se la critica stessa fosse in sé un'opera d'arte (non necessariamente bella).
E uno dei termini che la mia mente non arriva a toccare fino ai suoi lontani limiti è "gesto".

Cosa si intende con "il gesto" di un pittore? Forse il senso della pennellata? L'energia che comunica con la sua opera, riflesso della propria concezione del mondo? La fisicità del'esecuzione?
Bho.

Paradossalmente,  a intravedere il significato di questo termine mi aiutano le tele di Fontana.

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Immagine da Google

Le tele di Fontana, si sa, si collocano alla fine di una lunghissima evoluzione del linguaggio pittorico.
Non è obbligatorio apprezzarle. Non è necessario capirle. Tutto, nell'arte contemporanea, è altamente soggettivo.
Qui, dico solo che il gesto di Fontana mi pare didattico.
Di per sé, è facile da capire.
Zac zac zac!
Un bel gesto artistico deciso.

Provo più interesse per i gesti di tutti i giorni.
Quelli che caratterizzano ciascuno di noi, e si fissano nella memoria come frecce.
Mia madre, ad esempio, ha raccontato un gesto di suo padre, che lei ha perso ancora bambina.
Nella nebbia dei ricordi, lo rivede seduto in compagnia di amici e familiari, la sera, accanto al fuoco del camino, che ride e guarda di lato, abbassando la mano verso terra.
Un gesto di un altro secolo, tipico di una persona che non ho mai conosciuto, ma che grazie alle parole di mia madre, e all'amore che lei provava per il nonno, si è fissato anche nella memoria mia.

Mia madre, invece, quando parla si porta la mano a coprire la bocca.
Un gesto che trovo civettuolo, e paradossalmente, perché mia madre è la persona più estranea della terra a ogni forma di civetteria e alle astuzie della seduzione.
Timidezza elegante? Affettazione da geisha?
Niente di tutto questo.
Mia madre è molto insicura di sé. Non vuole mostrare i suoi denti.
E con questo suo gesto, in cui la vedo inerme, e insieme piena di rispetto per gli altri, e tante altre cose ancora, mi straccia il cuore dalla tenerezza.

Mio padre, poi, quando rifletteva stringeva i denti.
Gli vedevo un muscolo della guancia vibrare ritmicamente.

Una vita fa la mia amica di infanzia, quando in occasione di uno sciopero mi disse che voleva comunque andare al lavoro, ribatté alla mia domanda "E se ti dicono che sei una crumira?" con queste parole: "Risponderò 'Sì, sono una biscottona!', mentre piegava la testa sulla spalla con fare civettuolo - questa volta sì - e ironico.
Ho riso tanto.

L'unico ragazzo che si sia dichiarato innamorato di me mi stava a guardare mentre sbucciavo le mele.
Gli piaceva come ne intaccavo la scorza con un colpo deciso del coltello, prima di ricavarne un serpente inspiralato.
Magari se lo ricorda ancora adesso. O forse no.


La Mizzi, la mia gattina amatissima che è morta un anno e mezzo fa, aveva un suo modo di corteggiare le porte chiuse, buttandosi a terra e scalciando con le zampe di dietro, mentre infilava quelle davanti nello spiraglio, come se volesse blandirle col senso dell'umorismo.
Anche quando scappava davanti a me, per gioco, faceva uno strano balletto con le zampe di dietro. 
Non ho visto nessun altro gatto fare così.

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E ricordo che la Titina, quando me l'hanno portata a casa, e per la primissima volta è rimasta sola con me, seduta a un'estremità del letto, mentre io ero stesa sull'altra, mi ha guardato e poi si è alzata di scatto facendo le fusa, per venirmi vicina.
Un gesto come una promessa, che fino ad ora nessuna delle due ha spezzato.

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Anche se la Titina, molti miei amici lo sanno, per tanto tempo mi ha fatto letteralmente ammattire.
Ad esempio, spaccandomi le ceramiche di casa.

Chissà cosa voleva dire, con quei gestacci...


Buona settimana!


Silvana


https://www.youtube.com/watch?v=BoLxwttnJzQ

lunedì 5 febbraio 2018

5 febbraio 2018 - Come sulle guglie del Duomo

Cosa vuol dire viaggiare?

Viaggiare è andare altrove. Cambiare il ritmo delle proprie giornate. Vedere cose nuove. 

La settimana scorsa non c'ero.
Mi svegliavo al mattino, aprivo la porta di casa e via, per ore e ore. Ritornavo solo a sera, stremata e contenta.
Alcuni di voi hanno indovinato la mia meta.
La foto che ho mostrato l'altro lunedì l'ho scattata al Castello Sforzesco.
Ero a Milano.

La settimana scorsa è venuta a trovarmi Malgorzata, l'amica che ho incontrato a Malaga due anni e mezzo fa, e che l'anno scorso ho rivisto nella sua città, Wroclaw.


​Malgorzata a Sant'Ambrogio

Con lei ho scoperto l'occhio nascosto di Sant'Ambrogio.

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Gli sguardi scanzonati di Santa Maria delle Grazie.

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Ho avuto l'ennesima conferma che i gatti sono piccoli leoni che si sono addomesticati solo per compiacerci

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Affreschi di San Maurizio

Convinta di portarla all'Accademia di Brera, in uno dei miei frastorni spazio-temporali ho scoperto la Pinacoteca Ambrosiana, 

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Dettaglio del cortile interno

e i Tiziano, Raffaello, Brueghel e Leonardo che custodisce.
Per non parlare delle tele del Nuvolone, che sapevo aver decorato la villa dove lavoro ogni giorno, adesso biblioteca, ma in altri tempi dimora nobiliare. Qui le ho viste per la prima volta.

Non che non si sia passate per il glorioso crocevia di Duomo - Galleria - Castello. I nostri passi si sono diretti da quelle parti quasi ogni giorno.
Cuore della bellezza di Milano, cartolina inderogabile, il sole che splendeva quando Malgorzata era qui ne ha illuminato i dettagli più curiosi.

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La nostra Statua della Libertà

Per non parlare della mostra di Caravaggio: finalmente, grazie alla mia amica, non mi perdo l'ennesimo grande evento che la mia città ha offerto.
L'attesa in coda per poter accedere, che temevo come certa fonte di angoscia e raffreddamento, insieme a lei è stato piacevolissima.
E poi, gli occhi della Madonnina vegliavano su di noi.


Viaggiare è vedere cose nuove, ma anche vedere quelle solite con occhi diversi.
Nei giorni scorsi c'era una persona nuova nella mia città, ma io in un certo senso ho vissuto dentro Malgorzata.
Anch'io, per qualche giorno, ho avuto il suo sguardo azzurro e pulito sul mondo.

Poi, Malgorzata è ripartita.
Se gli amici sono angeli, e gli angeli sono semplici metafore degli amici, è bene averne svariati a diverse distanze tra noi e l'infinito, distribuiti sulla terra come i santi delle guglie del Duomo sono distribuiti nel cielo.

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Malgorzata è il mio angelo che vive in Polonia.

Buon viaggio a tutti.


Buona settimana!


Silvana