lunedì 28 maggio 2018

28 maggio 2018 - Invece di parlar del tempo

Ieri ho trascorso il pomeriggio con i compagni di coro - fortuna che nella mia vita li ho incontrati.

Tempo fa un soprano, ultima arrivata come me, ci aveva invitato nella sua magione a una decina di chilometri dal Lago di Como; una di quelle case di cui ti chiedi, vedendole dall'esterno, così antiche, caratteristiche e paesane, "Chissà com'è dentro?", e di cui magari non arrivi a immaginare l'eccezionalità e l'interesse, perché dall'esterno, di nordico riserbo, in effetti la magione potrebbe sembrare "normale".

E invece - e il parco verde ed amplissimo, e la varietà di stili ed epoche dei vari immobili, e la sapiente graduazione delle ristrutturazioni, e la carineria del Bed & Breakfast incorporato - insomma tutto l'insieme dell'ambiente ci ha lasciato tendenzialmente trasecolati.
Nessuno ha parlato di espropri proletari. L'epoca non è più quella.
Siamo stati invidiosi?
Chi lo sa.
Ciascuno parli per sé.


Io di me dico: cerco di non essere invidiosa. 
L'invidia è un sentimento che trovo sempre negativo, o piuttosto nefasto, anche le rare volte che ho sospettato di ispirarla.
Tanto meno mi capita di invidiare i possessi materiali, visto che nella vita non mi è mancato quasi niente - se non le lezioni di musica quando ero bambina, ma quelle non le avrei avute nemmeno se fossimo stati ricchi.
Certo, ieri pomeriggio, e le rare volte che salgo verso Bergamo alta a piedi, passando tra palazzi che immagino materialmente felici (perché proprio quelle strade mi ispirano questi pensieri? Forse in una vita precedente sono stata serva di ricchi bergamaschi?), non ho potuto fare a meno di considerare l'insondabilità del Caso, che getta alcuni in un'antica filanda storica nei dintorni di Como, e tanti altri nel Burkina Fasu.

Aggiungo poi che trascorro molto tempo in una antica villa nobiliare - la sede della biblioteca dove lavoro - e che quindi non mi manca la presenza quotidiana in ambienti prestigiosi, dove tra l'altro tutti, al giorno d'oggi, possono liberamente entrare, perché la villa appartiene alla comunità - che cosa fantastica, qui nessuno è servo!

E dunque, che cosa invidio io, quando proprio non riesco a farne a meno?
Innanzitutto, i denti belli e sani, perché io dai miei ho avuto solo problemi.


Poi, il privilegio di non svegliarsi da soli, ogni mattina.
La terza invidia non me la ricordo. Quindi, potrei dire di invidiare chi ha buona memoria, che nella vita mi avrebbe molto facilitato, e adesso ne sento sempre di più la mancanza.

Per concludere: se fossi stata inglese, in mancanza d'altro questo lunedì avrei parlato del tempo.
Invece, ho detto quattro sciocchezze su uno dei vizi capitali.


Buona settimana!



Silvana

lunedì 21 maggio 2018

21 maggio 2018 - Tre finestre. O quasi

Nei giorni scorsi sono stata a Roma, ospite dell'altra me stessa.

Roma è una di quelle città la cui conoscenza, ad ogni visita, si arricchisce di elementi nuovi, di aspetti mai notati prima.

Questa conoscenza non arriverà mai alla perfezione.
Roma è troppo grande, non si può esaurire, e saperlo mi conforta, perché vuol dire che lì, a Roma, vedrò sempre qualcosa di nuovo, e di conseguenza potrò ospitare pensieri e sensazioni ancora sconosciuti.

Lasciando le strade inondate di luce, nei giorni scorsi, - luce di mare, dice Carlo, il mio ospite, gialla e piena - per entrare nell'ombra delle chiese o dei musei, sono stata sorpresa diverse volte dall'abbagliamento tutto dei miei occhi, personale, che mi accecava per qualche istante, prima che mi adattassi al buio improvviso.
In quell'attimo di passaggio non ero né all'interno né all'esterno. Né aperta né chiusa. Né cieca né vedente.
Ero come una finestra.

Dunque, vi mostrerò tre immagini di finestre - anzi, di punti di passaggio tra dentro e fuori. O tra luce e ombra. O tra prima e dopo.

La numero uno è buffa.



Questo signore, nel chiostro del Bramante, si è affacciato sul lato opposto al mio e si è messo a guardarmi.
L'ho fatto anch'io, e lui non ha smesso di fissarmi.
L'ho fotografato, e lui comunque non ha rivolto gli occhi altrove.
Neanche un'ombra di nordica discrezione.
Piuttosto, un po' di riprovazione. Per cosa, poi? Chissà.
Ma che omino curioso!

La seconda è una visione molto caratteristica della capitale, che è città di preti e frati, attraversata in su e in giù da tonache vesti e sai.
Per i romani sarà normale, molto meno per me, che ogni tanto mi soffermo a osservare questa fauna folcloristica di vecchi e giovani, neri e biondi, alti bassi magri grassi, dalle facce che immagineresti benissimo in altri contesti - su una moto, dietro al bancone di una salumeria, in cima a una gru - ma mai sopra un rigido colletto bianco.
E dunque, in cima alla Scala Santa di San Giovanni in Laterano (no, non l'ho fatta in ginocchio) ho visto questa silhouette nera su fondo giallo.
Un prete seduto nel confessionale, in attesa del suo penitente.


La terza foto non è mia e non ve la posso mostrare.
Al di là di una cortina di perline, di quelle che si usavano una volta all'ingresso delle case che davano sulla strada, o sui balconi, si intravede una vecchia signora di spalle, che guarda nel vuoto, dal piano alto di un palazzo circondato da altri palazzi moderni, molto alti.

E' la mamma della mia amica. 
Immaginatela con gli occhi della mente.
E' molto bella, ne vale la pena.


Buona settimana!


Silvana

lunedì 14 maggio 2018

14 maggio 2018 - Un concerto

Capita di vivere certi eventi un po' in sordina, a volte, e poi di rimpiangerli, perché si sono rivelati più dolci del previsto, più inconsueti e coinvolgenti, e ci dispiace che siano passati.

Una decina di giorni fa, ad esempio, sono andata col coro nell'Oltrepò Pavese. Avremmo cantato pochi brani in una rassegna cui partecipavano altri tre o quattro corpi musicali.

Il viaggio di andata è stato molto bello.
Nel tardo pomeriggio abbiamo attraversato campagne molto addomesticate, troppo costruite, e tuttavia verdi, morbide, con alti pini solitari controluce e boschi di pioppi coltivati nelle cui geometrie l'occhio si perdeva, magrittianamente più scuri sotto le chiome, e ulteriori prospettive di altri boschi tra i tronchi, quando si riusciva a spingere lo sguardo più in là.

Eravamo in cinque su un'auto piuttosto piccola, tre soprano e due contralto, e abbiamo cantato canzoni degli anni '60, e parlato ed ascoltato.

Io, più ascoltato, come al solito, anche perché l'altra contralto - Teresa -  ha raccontato storie affascinanti.

Dice che erano arrivati a Milano poverissimi, la sua famiglia e lei, dalla Calabria, e che i genitori erano gente dura, lavoratrice, mai un sorriso o una carezza - difficoltà che sono state un'esperienza dura da digerire, ancora non c'è riuscita del tutto. Trascorre diverse ore a scriverle, in questi giorni, china sul computer, e sono momenti belli, importanti, anche se non ha senso farlo, perché i suoi ricordi non li leggerà mai nessuno.
E dunque, il primo giorno di scuola qui al Nord suo fratello è arrivato in classe così nudo, così sprovvisto che la bidella l'ha preso e l'ha rivestito, e poi l'ha mandato a casa con le braccia piene di panni nuovi. E lui si è perso per strada, arrivando all'altro capo della città a piedi, finché ha avuto il coraggio di chiedere a qualcuno che gli ha spiegato la strada giusta, e arrivando a casa quasi di sera la madre gli apre, gli dà un'occhiata di sfuggita e fa: "Ma come finiscono tardi le lezioni, a Milano!", prima di mettersi a fare altro.
Questo un primo ricordo che ha raccontato Teresa.

Un altro, di diverso genere, vede protagonista lei, ormai al liceo, che incontra un bel ragazzo sconosciuto lungo la strada per andare a scuola, e questo principe azzurro la prende in braccio, la porta fino all'ingresso dell'istituto, la mette giù e la saluta con un bacio, prima di sparire nel nulla.
"Io ero bella, lui era bello. Io ero già impegnata e probabilmente anche lui. E' stato un episodio così".

E io, che nessuno né conosciuto né sconosciuto ha mai preso in braccio per portarmi a scuola, mi chiedo se questi non siano ricordi invece che non ti permettano di vivere contenta per sempre, sicura di te, soddisfatta. Anche se da piccola, in Calabria, mangiavi soltanto una volta al giorno.

Un bel romanzo che parla di una storia come quella di Teresa

Non lo so.
Forse delle esperienze forti e opposte si elidono a vicenda, e alla fine è un po' come se non ne avessi vissuta nessuna...
Ma non credo.

Insomma, alla fine siamo arrivate, siamo uscite dall'automobilina scartocciandoci, e dopo un salto al bar del paese - minuscolo, grazioso, antico, fatto di case vecchie dove chissà come entra la luce, e di vie dove passano più cani che auto - abbiamo assistito al concerto degli altri, e abbiamo cantato noi.

Così, per chi vive lontano da me, e anche per chi mi sta abbastanza vicino ma non ha tempo per seguirmi, metto il link

https://www.youtube.com/watch?v=nfIRO_drQIo&feature=youtu.be

della prima parte del concerto.
Intorno al 25° minuto ci siamo anche noi.
Io sono tutta a destra, mi si vede poco - un bel vantaggio!

Però un poco mi si sente, in mezzo alle altre voci.

Se volete seguire anche il resto del concerto, non avete che da chiedere.

Il pane e salame che ci è stato offerto alla fine dell'esibizione no, non ve lo posso mandare.

Buon ascolto!

E buona settimana


Silvana

martedì 8 maggio 2018

7 maggio 2018 - Que de monde!

Conoscete l'East Market di Milano?



Io, fino a una decina di giorni fa, no.
Poi, una domenica mia sorella ci è voluta andare, e mi ha invitato, e quindi mi sono ritrovata sotto un enorme capannone industriale dismesso della periferia di Milano, pieno di vestiti vecchi e oggetti d'antan - tutta roba costosa, naturalmente, scordatevi l'esistenza dei mercatini dei buoni affari, dico io, io non li ho mai visti - e pensavo, e meditavo, certamente perché non sono più giovane e curiosa, ma mi veniva in mente da chiedermi: ma quante tarme si aggireranno sotto questo tetto industriale? Ma quanto non ha ragione quella mia collega che dice: "Roba vecchia? Ne ho già abbastanza della mia!". 
Ma quanta caspita di gente c'è in questo East Market? Que du monde, direbbe Marie. Che folla! Dico io.

E questa folla curiosa di tarme e vecchi 33 giri, forse perché faceva troppo caldo, non mi piaceva.

Diverso è stato a Madrid.

La prima cosa che ti colpisce di Madrid, quando visiti il centro, è che i madrileni sono tantissimi, e amano molto vivere all'aperto. Si godono la città, i bar, i negozi, i parchi, mangiano tapas, passeggiano, guardano le vetrine, chiacchierano, si siedono nelle piazze, insomma sono molto vitali, e ovunque tu vada sei circondato da un brusio, un movimento, un flusso, e la gente sembra contenta e brava a viversi la vita, quindi invece a Madrid, contrariamente che altrove, la folla mi è piaciuta.
Immagino che se sei depresso e vivi a Madrid uscire a farti un giro possa sempre essere una piccola risorsa per tirarti un po' su.
Ma forse la mia è solo una fallace idea da turista.

Poi, durante la nostra domenica madrilena, è successo che mentre si camminava per raggiungere il museo Sorolla abbiamo incrociato una folla molto particolare: in calzoncini e maglietta, col numero sul petto, uomini e donne di tutti i colori e a svariati livelli di spossatezza correvano per le strade.
El Maratòn de Madrid!


Il giorno dopo, abbiamo letto che erano in settantamila.
Settantamila assatanati della fatica inutile, votati allo sgretolamento delle articolazioni delle ginocchia.
Una folla immane di pazzi! 
Un vero incontro straordinario.
Un momento magico.
Forse, chissà.

D'altronde, oramai siamo tanti. Tantissimi.
Qualsiasi cosa tu voglia fare, sta' pur sicuro che non sei stato l'unico ad avere quell'idea.
Agli albori della mia giovinezza ricordo di essere andata a vedere una mostra di Paul Klee con mia sorella, a Palazzo Reale. 


Da Google Images

Le sale erano vuote.
Ora, non c'è un evento culturale per cui non si debba fare la fila. Tutti sono informatissimi, nessuno vuole perdersi neanche un gocciolino di vita culturale. O di vita, e basta.
So di amici che partono in auto per raggiungere la tal destinazione, non trovano parcheggio e tornano indietro.

Problemi che mi toccano sempre meno.
Sono introversa. 
Caso mai rinuncio, resto a casa e leggo un libro. Oppure vado a dormire.
Sono una donna piena di risorse.

D'altronde, sono consapevole che incontrare folla quando si vuole andare al cinema, o a una mostra, è un problema da nulla. Anzi, è un vero privilegio, che spero tanto possa durare ancora a lungo.

La folla vera è quella che si accalca, ad esempio, sui barconi della speranza.


E poi, se un giorno davvero risorgeremo dalla morte, allora sì che saremo davvero in tanti! Da non trovare un francobollo di terra per appoggiare i piedi.

Dài, questo lo sapete tutti che cos'è!
Chissà se fra tante facce potremo ritrovare quelle che avevamo scelto per essere meno soli, tra la folla.


Buona settimana!


Silvana