lunedì 30 luglio 2018

30 luglio 2018 - Francesismi

Come diceva un poster di Lupo Alberto che mi avevano regalato ai tempi del liceo: Più studi, più sai. Più sai, più dimentichi. Più dimentichi meno sai. Allora, chi te lo fa fare?

Col senno di poi, come dargli torto?

E però, in tanto sfacelo, il programma dell'esame di glottologia - il primo che ho sostenuto - mi era piaciuto tanto, e più o meno me lo ricordo ancora adesso.

Ad esempio, la legge di Grassman, detta anche legge della disaspirazione regressiva, ve la potrei illustrare. Non lo faccio perché è un sapere molto specializzato e noioso. Vi rimando a Google, se proprio ne volete sapere di più.

Oggi, glottologicamente parlando, riferirò piuttosto di un prestito.
Un francesismo di mio conio. Una mia invenzione.
L'accrupimento.

Accrupirsi  - dal verbo s'accroupir, francese, che vuol dire acquattarsi, accoccolarsi, accovacciarsi - è quello che faccio io ogni sera, o tutte le volte che mi è possibile, quando mi arrotolo sul divano in posizione fetale. E guardo film e serie tv sul cellulare.

Mi piace avere il cellulare al centro e attorcigliarmici intorno, come le stringhe di liquirizia di quando ero bambina, che si inspiralavano intorno a una pallina di chewing-gum colorata in mezzo.

In questo modo poco ortodosso, recentemente ho guardato la sesta e ultima stagione di Downton Abbey. La prima stagione di I bastardi di Pizzofalcone. 
Sulla prima de Il giovane Montalbano mi sto accrupendo proprio in questi giorni.
Mi sento di consigliarvele tutte.
Anche il film L'arbitro è una chicca sarda che farà contenti parecchi di voi.


Per chi non lo sapesse: non sempre è necessario essere iscritti a Netflix, per accrupirsi bene.
Il programma di raiplay è vastissimo e spesso di prim'ordine. Sono sicura che non tutti ne sono al corrente.
Quindi, se avete pagato il canone Rai, cosa aspettate? Iscrivetevi e accrupitevi anche voi!

Per me, il momento più glorioso dell'accrupimento è quando mi assopisco - fosse anche per dieci minuti - nel sonno da sofà, vertiginoso e ristoratore. Tanto, quello che mi sono persa della storia che gira sul mio cellulare lo posso rivedere il giorno dopo.

Se stessi seduta come qualsiasi essere umano, davanti a un monitor di dimensioni più ortodosse, sarei probabilmente più civilizzata, certo più normale, ma non potrei raggiungere certi sprofondi d'oblio che in passato si potevano raggiungere solo nelle fumerie d'oppio.

Gli unici svantaggi: col caldo di questi giorni, accrupirsi sul divano fa sudare copiosamente.
E lo sforzo continuo su un monitor di dimensioni ridotte affatica la vista - però sto imparando a usare gli occhiali da lettura, per la bisogna.
Reagisco.

Quindi, che dire?
Buon accrupimento!


O, comunque sia, buona settimana!


Silvana

lunedì 23 luglio 2018

23 luglio 2018 - Giustificazioni

Una delle occasioni che mi sono perduta, nella vita, è stata quella di bigiare.
Quando ho compiuto 18 anni, al liceo, finalmente sono diventata libera di firmarmi da me le mie giustificazioni per le assenze.
In effetti, non ne sono stata contenta. Ho pensato che mi ero persa per sempre l'emozione dell'atto ribelle, del batticuore, della falsificazione della firma.

Pazienza. Fossero tutte lì.

Lunedì scorso non ho mandato la mia mail del lunedì.
Al mattino ho perso tempo.
Pensavo di occuparmene nel pomeriggio, al lavoro, come a volte mi capita, ma invece è successo qualcosa, poco prima di uscire di casa che mi ha messo in grande agitazione.
Quindi, se qualcuno mi chiedesse una giustificazione per il mio silenzio (che è passato abbastanza inosservato, devo dire), racconterò.

La mia Titina è stata male.
All'improvviso, si è messa accucciata sulle quattro zampe gorgogliando e starnutendo. Si faceva le fusa da sola per tranquillizzarsi. Non dava retta a nessuna parola di conforto.

Insomma, sono andata in biblioteca, perché dovevo. Da lì ho contattato la mia amica Erica per sapere se, nel caso, mi avrebbe potuto accompagnare dalla veterinaria.
Tornata a casa, Titina non si era ripresa.
E' arrivata Erica.
Siamo andate dalla dottoressa.

La faccio breve: mesi fa ho scritto che Titina è il mio cuore peloso che corre su e giù per il pavimento di casa.
Ebbene, è un cuore che soffre di una malformazione genetica al penultimo stadio di gravità.
E' un cuore in prognosi riservata, che dovrà assumere farmaci fino alla fine.
Un cuoricino condannato.

Da quel giorno di crisi estrema, in effetti, Titina pare si sia ripresa.
Respira quasi liberamente. Ogni tanto gioca. Si fa fare le coccole.
E' sempre bellissima.
Sembra una gattina normale.

Ma io non riesco a guardarla o a pensarla senza provare una tristezza infinita.
Sono entrata in un'ombra che non vuole passare più.

Come sempre, in casi come questi, si cercano responsabili e cause per disgrazie che spiegazioni razionali non hanno.
Così, mi è capitato di pensar male della collega che mi ha convinto ad adottare Titina. 
Se non fosse stato per lei, io oggi non proverei questo ennesimo dolore.
Certo, non poteva sapere che la mia gattina era malata.
Ma col tempo ho capito che questa persona non ha mai provato amicizia o affetto per me. Quindi, non aveva il diritto di impicciarsi della mia vita per il gusto narcisistico di convincere qualcuno a fare qualcosa.
E' un consiglio non richiesto che mi sento di dare a tutti: non date consigli non richiesti a quelli che non amate.
Non intervenite nelle decisioni di persone che, un domani, non avranno motivo per giustificarvi, se si troveranno male.

Sull'altro piatto della bilancia pesa quello che mi ha detto mia madre.
Mia madre, che sta naufragando in un mare di banalità e luoghi comuni - a 87 anni ne ha tutti i diritti - mi ha consolato con un pensiero molto bello.
"Ma Silvana - fa lei - pensa se non ci fossi tu a occuparti della Titina! Pensa se fosse in mezzo a una strada... O se avesse un padrone che non la vuole o non la può curare!"

E dunque, questo mi riprometto: finché il mio cuore peloso batte, io cercherò di farlo stare il meglio possibile.
Poi, probabilmente mi abituerò anche a questa tristezza.

Buona settimana!


Silvana


lunedì 9 luglio 2018

9 luglio 2018 - Argo

Se pensate che la mia biblioteca sia diventata un posto di lavoro ideale, dopo il trasferimento delle colleghe ostili, ricredetevi.
Evidentemente esiste un kharma loci, per cui anche a cambiare gli attori le dinamiche rimangono sempre le stesse.
Insomma: nella mia biblioteca fazioni e faide continuano a esistere.
Amen.

La bella novità, però, è che ultimamente ho potuto occuparmi di attività particolari nella sezione dei ragazzi, che prima per me era zona proibita.
Quindi, insieme ad altre colleghe ho presentato la biblioteca e la villa che ne è la sede ai bambini delle scuole di zona, ho introdotto i piccoli al mondo del libro e della lettura con un gioco "di società", ma soprattutto, insieme a Maddalena ho organizzato e tenuto un laboratorio di poesia.

Ero terrorizzata all'idea, ma una volta arrivato il gran giorno in qualche modo siamo arrivate fino in fondo, e tutte le bambine (hanno partecipato solo femmine, chissà com'è) hanno composto i loro versi.

Quello che ho imparato: ai piccoli non interessa la teoria delle cose, ma la pratica.
Ho introdotto l'attività raccontando qualche rava e qualche fava di quello che è per me la poesia, ma vedevo che i loro sguardi si perdevano nell'esplorazione del soffitto.
In particolare, per dimostrare che la poesia si occupa di ogni ma proprio ogni aspetto della vita, ho letto la storia del cane Argo, gettato come un rifiuto all'entrata del palazzo di Ulisse, re di Itaca.
Omero, dico io, pur preso dalla narrazione di guerre magie e peripezie iperboliche, si ferma un istante e racconta come il vecchio cane abbia resistito fino all'ultimo istante, con l'anima tra i denti, per rivedere il suo vecchio padrone, che conobbe da cucciolo.
E appena lo vede tornare, travestito da mendicante, lo riconosce, lo saluta e muore.


Io, quando leggo questa storia, e anche un po' l'altro giorno, quando l'ho letta alle bambine - loro non è che fossero molto attente, in verità - mi commuovo sempre.

Ma per quanto l'abbia sempre trovata bella, non immaginavo di sperimentarla dal vero, di lì a pochi giorni, incarnata nella mia amica Erica e nel suo gatto Amore.

La mia amica Erica sta vivendo un periodo difficile, con problemi di lavoro e di salute.
Dopo una vita che non andava in vacanza, le si è presentata l'occasione di trascorrere qualche giorno a Ibiza, ospite di una sua amica che in questo periodo sta gestendo un negozio sull'isola. E lei accetta l'invito.
Prima della partenza, Erica porta il suo vecchissimo amico dalla veterinaria, lo cura, gli somministra flebo vitamine e ricostituenti, lo fa arrivare all'ottimo della forma e parte affidandolo a me, che vado regolarmente a dargli le sue pappe e ad accudirlo.

Passano pochi giorni, e il micio comincia a peggiorare.
Mangia sempre di meno, fa fatica a muoversi, non va più sulla cassettina... E' il tracollo.
Io mi spavento. Lo racconto alla mia amica.
Erica cerca di cambiare il biglietto dell'aereo, ma non trova posto da nessuno parte.
Io fino all'ultimo vado da Amore, almeno per fargli leccare un po' d'acqua, con la paura di non trovarlo più in vita.

E invece il micio resiste.
La sua padrona ritorna, e lui riesce a sollevare la testa per salutarla con un miagolio muto.


Tempo qualche ora, e Amore lascia questa terra.
Ieri sera lo abbiamo portato dal veterinario - l'ultimo viaggio - avvolto nell'asciugamano più bello che Erica avesse.

Forse non tutti capiranno.
Non tutti godono della compagnia di un piccolo amico, o ne apprezzano fino in fondo il valore.

Erica ha vissuto 22 anni con il suo Amore.
Perdere un gatto, o un cane, dopo così tanto tempo è come veder scomparire un pezzo della propria vita - però per lo meno lei è riuscita a riabbracciarlo da vivo.

Omero avrebbe raccontato questa storia meglio di me.
Anzi, l'ha già fatto



Buona settimana!

lunedì 2 luglio 2018

2 luglio 2018 - Segni del tempo

Diversi sono i segni che mi indicano che il tempo passa.

Mi sveglio al mattino con le ossa che mi dolgono - ma una famosa battuta dice che questo vuol dire che sono ancora viva.

Ricevo molto spesso su whatsapp il filmato che mi illustra com'era diversa l'infanzia di noi bambini del secolo scorso - e migliore, naturalmente.

Non conosco il cognome di nessun calciatore.
Da bambina li sapevo tutti, perché mio padre li seguiva.
Da giovane ne orecchiavo qualcuno, perché i miei coetanei li nominavano.
Adesso il calcio per me è pura fantascienza.

Un altro inconfutabile segno che tante cose non sono più le stesse: ho cambiato gusti in fatto di mutande.
Mi spiego.

Un paio di mesi fa mia madre mi propone cinque o sei mutandoni bianchi di cotone, nuovi, che lei per qualche ragione non userà.
Io dapprima li rifiuto, scandalizzata.
Poi li prendo, con l'intenzione di portarli in vacanza e gettarli dopo il primo uso, per alleggerire la valigia.
Infine li provo e rimango estasiata: i mutandoni della nonna sono comodissimi! Oramai metto solo quelli... 
O quasi.

Immagine da Google

Una volta, invece... 
Non che fossi maniaca, ma coi vestiti aderenti indossavo i tanga senza problemi, perché era inelegante persino per me, antifashionista di natura, lasciare intravedere il segno degli elastici sotto le stoffe.
E comunque portavo la terza.
E ci stavo pure comoda!


Ma si sa: ogni scarpa diventa scarpone.
Ogni tanga diventa mutandone...
E i miei vecchi slip si sono trasformati in un cilicio.

Dunque, l'altro giorno tornavo a casa dal lavoro in bicicletta insieme alla mia amica Maddalena, e incrociando una signora mia coetanea con chiari segni di mutandone della nonna sotto un vestito di poliestere semiaderente ho dato inizio alla narrazione: "Sai, Maddalena, mia mamma mi aveva proposto tempo fa cinque braghe di cotone bianche..."
All'improvviso mi sono interrotta, perché fortunatamente mi sono resa conto prima di arrivare alla fine di questa storia interessantissima e molto intima che le avevo già raccontato tutto.

Chissà quante volte vi ho già raccontato tutto due o tre volte...
Se non è un segno dei tempi questo!

Comunque sia, buona settimana.
Forse ve l'ho già detto.
Fa niente.


Silvana