Non ho fortuna e non ho gusto.
Vivo da anni sotto un lampadario da quattro soldi che prima è diventato irrimediabilmente lercio,e adesso è anche un po' rotto.
Ne ho comprato uno nuovo, che però pare non si possa appendere al posto dell'altro.
Continuo a vivere sotto un lampadario rotto, e fondamentalmente per me non è un problema - visto che funziona.
Ma qualche giorno fa ho capito dov'è la radice del problema.
E' che la parola "lampadario" non mi piace. Anzi, mi fa un po' ribrezzo.
"Lampadario" è la parola più squallida e amorfa che ci sia. Perché sprecare energia in un "lampadario"? Basta che dia luce, e vada al diavolo.
Diverso sarebbe se, al posto del lampadario, anche qui in Italia fossimo illuminati dagli chandeliers.
Chandelier della chiesa di S. Michele, a Cagliari
Anche un "lustre" andrebbe bene, ma sotto uno chandelier possono accadere solo cose bellissime:
Il fatto è che molti oggetti, e molti concetti, in altre lingue sono espressi con parole più sonore, più evidenti e più belle.
Si può costituire un esperanto unicamente in base a questo criterio? Un esperanto estetico? Un esperanto di espressività?
Un altro esempio: un paio di anni fa ho fatto una testa di cervo in ceramica. E' uno dei pezzi a cui sono più affezionata.
Un po' perché ha una sottile crepa sul muso, che mi fa molta tenerezza. Ma soprattutto perché l'ho chiamato Zwi.
Zwi vuol dire cervo, in ebraico.
E il suono della parola moltiplica la bellezza del significato, e la bellezza dell'animale potenzia la bellezza del suono della parola.
Anni fa ho letto questo bellissimo libro
Uno dei personaggi si chiama Zwi.
Ed è, giustappunto, un ragazzo bellissimo e affascinante, che trascina in un amour fou un povero impiegato di banca.
E come non si può cadere follemente innamorati di un bellissimo Zwi?
Stiamo attenti, però.
"Jabalì" è una parola spagnola che a me piace molto. Ha un bellissimo suono.
Però un jabalì non me lo porterei mai a casa.
Magari sotto forma di salame... Ma neanche tanto.
Buona settimana!
Silvana
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