domenica 12 ottobre 2014

13 ottobre 2014 - La famiglia

Qualche settimana fa ho trovato un bel bicchiere – o forse dovrei chiamarlo calice, non so - nel bidone condominiale del vetro.
Immagino che si trattasse del superstite di un servizio da quattro – o sei, o dodici, o ventiquattro – di una famiglia numerosa. Rimasto da solo, non serviva più a niente.
Ma i punti di vista sono diversi: per me, che sono single mononucleare, un calice rappresenta tutto un servizio. Un servizio piuttosto bello, per di più. Quindi, l’ho lavato per bene e l’ho adottato.
Potrei berci lo champagne, se volessi. La forma del calice assomiglia abbastanza al seno della Pompadour – non che l’abbia mai visto, però posso immaginarlo. Più probabilmente, lo userò per delibare del succo di frutta.
Per ora, l’ho prestato al coniglio di terracotta: quando vuole, può mangiarsi i sonaglini d’ottone.

Inline image 1




Ma non è del tutto esatto affermare che io non abbia una famiglia.
Non ho una famiglia di arrivo, ma ho ancora quella d’origine. Sarebbe a dire, ho una madre.
E una sorella.




“Un fratello è un amico donato dalla natura”, è il motto che avevo letto da piccola sulla pagina di un certo calendario. 

Inline image 3

Quando l’ho mostrato tutta contenta a Manuela, perché lo leggesse e ne gioisse con me, lei ha sbruffato e ha alzato le spalle.
Insomma: un’amicizia difficile.
D’altronde, chi siamo, noi secondogeniti? Dei fenomenali rompiscatole, che irrompono nella vita dei primogeniti per portargli via il ruolo da protagonista.
E l’antagonismo non si stempera, nel corso degli anni: se il confronto con gli altri è un sottofondo che regola le nostre vite, quello coi fratelli, che ci sono così vicini, e sono partiti insieme a noi, più o meno alle stesse condizioni e con le stesse opportunità, è tanto più drammatico.
Chissà se la molla che spinge in avanti tanti secondogeniti non sia il continuo desiderio di colmare un divario che, innegabile da bambini, con gli anni inevitabilmente si stempera. Ma sotto sotto rimane…

Poi, c’è mia madre.

 


Vado a trovare mia madre tutte le volte che mi è possibile. In genere, quando lavoro al mattino, tre volte alla settimana, e al pomeriggio non ho altri impegni. E la domenica.
Con mia madre mi piace parlare di gatti e delle offerte dei supermercati. Affrontare altri argomenti può rivelarsi un terreno minato  -  cercare lo scontro a questo punto sarebbe stupido.
Però l’ascolto anche quando sfoga le sue preoccupazioni per la massiccia presenza di stranieri, per la crisi finanziaria o il debito pubblico. Che cosa sono nata a fare, se non ascolto mia madre?
Poi, periodicamente ci sono le grane da affrontare. Periodicamente, mia madre ci fa uscire fuori di testa – me e mia sorella.
Ma tendenzialmente, non posso dire di no, è una dolce vecchietta. Molto più dolce di quando era più giovane.
L’altro giorno, ad esempio, mi sorprende la pioggia e arrivo da lei tutta bagnata.
“Hai un paio di scarpe da prestarmi per andare a casa mia?” le chiedo.
“Certo!” mi risponde, e si mette a cercarle come una formichina, nello sgabuzzino.
“E un paio di calzini da darmi ce l’avresti?”
“Sì sì! Senti come sono morbidi, questi…” mi fa, con un’espressione di piacere infantile, mentre accarezza dei bei pedalini nuovi nuovi.

Inline image 2


“Una cipolla la vuoi?” aggiunge. “Ne ho tante…”
“No, grazie. Ho appena comprato gli scalogni. Piuttosto, quando finisci il sapone liquido, mi daresti l’erogatore, che mi serve?”
“Certo! Ma prendilo anche se non è finito…!”
Se mi volesse regalare degli orecchini d’oro mi farebbe meno piacere.
E me ne torno a casa serena, a piedi asciutti.

Lo scorso mercoledì ho ripreso il corso di ceramica. Mia sorella mia ha dato un passaggio in auto.
“Dobbiamo ritenerci fortunate, adesso che la mamma è ‘tonica’ ”, mi fa. E aggiunge: “Tu sei brava. Tu vai spesso dalla mamma. Io la vedo solo la domenica sera, quando mangiamo la pizza insieme, e poi ci mettiamo a guardare la televisione… Durante la settimana le telefono…  Ma insomma, mi sto perdendo la vecchiaia della mamma”.
E mi ha fatto pensare a quei genitori che, per lavoro o divorzio o carcere o chissà quale caso della vita, si perdono l’infanzia dei figli e non li vedono crescere.

Forse, quando non abbiamo figli ci ripieghiamo all’indietro, verso i nostri vecchi.

E forse è questo il divario tra primogeniti e secondogeniti che assolutamente, in nessun caso si potrà mai colmare: qualsiasi cosa si faccia nella vita, i primogeniti sono più vecchi di noi secondogeniti, quando i genitori scompaiono.
Vivono contemporaneamente a loro sempre e comunque più a lungo.

Alla salute!




E buona settimana.



Silvana

Nessun commento:

Posta un commento