lunedì 30 aprile 2018

30 aprile 2018 - Fare il ponte

Ho già raccontato delle colline delle fate irlandesi - quelle tonde, verdi, con un unico albero sul cucuzzolo, che secondo i celti vecchi e nuovi rappresentano un luogo magico, un punto di incontro tra il mondo reale e quello magico.
Il luogo attraverso cui le fate arrivano sulla terra.
E che io ogni tanto riproduco in ceramica.


Questa collina delle fate è andata a vivere in Francia

Secondo me, anche i ponti sono dei luoghi magici.
Sospesi nel vuoto, tra aria acqua e terre, uniscono una riva all'altra, il passato al futuro, il possibile all'impossibile, e favoriscono incontri importanti.
Ricordate Dante e Beatrice?


Henry Holiday: Dante and Beatrice

Si incrociarono un giorno nei pressi del ponte di Santa Trinita, a Firenze, e da allora rimasero segnati i destini della letteratura mondiale, della lingua italiana e, naturalmente, dell'Alighieri.
Quello di Beatrice magari no, ma non lo sappiamo per certo.

Tanti anni fa, passando su un ponte del mefitico Seveso io incontrai un micio che mi ispirò il mio primo racconto.
Speravo che da questo momento il mio destino cambiasse e invece no.
Pazienza.
Con le mie pubblicazioni, però, mi sono pagata qualche piccola vacanza. Che è meglio di niente.

Una decina di giorni fa ero a Toledo.
Le guide turistiche e le cartoline dei baracchini mi dicevano che in quella città ci sono almeno due ponti che valgano la pena di essere visti.
Io, per una volta guidata dalla mia volontà e testardaggine nel mio ultimo viaggio, ho insistito per andare a vederlo.
Ho chiesto a un gentile signore che mi spiegasse come raggiungerlo e mi sono messa in cammino.

L'ho visto solo dall'alto, il ponte di San Martìn.
Faceva caldo, ero stanca, mi aspettavano ancora diversi chilometri a piedi. 
Mi sono lasciata distrarre dagli impavidi che si lanciavano ad attraversarlo in tirolina


per la cifra di 10 euro (era modica? Era esosa? A me sembrava giusta, a Marie no. Possiamo aprire il dibattito).
Non l'ho attraversato. In quel momento, senza rimpianti.

Però adesso me ne pento.
Chissà cosa mi aspettava, dall'altra parte del Tago.
E chissà quando mai potrò di nuovo attraversare quel fiume, che glorioso arriva fino a Lisbona per gettarsi nell'Oceano, e ha fatto la fortuna storica di quella città, di quella Nazione piccola e navigatrice? 
Quando mai potrò fermarmi a metà del percorso per fare una foto a monte e una a valle, come ogni turista munita di macchina fotografica che si rispetti?
Quando mai?
Mai più, io credo.

Quindi io vi dico: volete fare il ponte?
Volete andare via, tra 25 aprile e primo maggio?
E fatelo.

Anch'io fino a poco fa sono stata tentata di farlo, rinunciando a mandarvi questa mia mail. 
E invece sono qui, e vi scrivo.
E vi auguro il mio solito


Buona settimana!


Silvana



sabato 28 aprile 2018

lunedì 16 aprile 2018

16 aprile 2018 - Appunti di viaggio

Aspettavo l'autobus per andare alle prove del coro, l'altra sera, alla solita fermata.
Naturalmente, prima che passasse il mio ne ho visti di tutti i colori. 
Cioè, di tutti i numeri. 
Ce n'era persino uno nuovo, appartenente a una linea a me ancora poco conosciuta, che porta fino al capolinea della metropolitana lilla.

Io sono lì in piedi, da sola alla fermata, considero il bus che si avvicina, mi dico che la città è cambiata parecchio senza che me ne accorgessi, vedi che c'è una linea nuova - questo vuol dire che sono invecchiata, purtroppo - e a me in che occasioni potrebbe servire un autobus che fa questo percorso? Agito tra me e me tutte queste meditazioni, e vedo che il veicolo nell'avvicinarmisi rallenta, l'autista mi guarda interrogativo, alza un po' il mento come a dire: Mi devo fermare? e fa un mezzo sorriso. Io rispondo con un mezzo sorriso, scuotendo leggermente la testa, e lui con un gentile cenno d'assenso, come a dire "Ho capito", tira dritto.

Come spiegare quanto mi è piaciuto questo breve dialogo muto, di stile otto-novecentesco, tra adulti mediamente educati, che condividono lo stesso patrimonio di segni?
Non lo spiego.

E ricordo quando viaggiavo regolarmente in autobus, nella mia giovinezza, sempre nelle ore di punta. Era uno strazio. Ogni tanto riuscivo a guadagnarmi un posto a sedere e mi mettevo a leggere. 
Il sedile nell'angolo in fondo, però, - quello con il divisorio trasparente a cinque centimetri dalla faccia - in genere rimaneva vuoto.
Nessuno ci teneva a sedere con le gambe sotto il mento.
Io sono più pigra che claustrofobica, piuttosto che niente mi infilavo lì. A costo di scomodare tutti i viaggiatori già seduti lì accanto.
Un mattino, vedo un signore anziano distinto, concentrato su un libro, seduto di fianco al sedile del castigo, ancora vuoto. "Mi scusi, mi lascerebbe andare lì?", gli chiedo. Lui continua a leggere. Io, presupponendo sordità o ritardo nei riflessi, mi rassegno e non ripeto la richiesta.
Lui dopo un minuto e passa di silenzio alza lo sguardo, mi pianta in faccia due occhi furbetti e divertiti - erano azzurri, mi pare, solo un poco sbiaditi - e mi fa: "Io l'ho sentita benissimo, sa. Non sono mica sordo. Solo che a volte mi piace scherzare'..."
E mi è venuto da ridere, e lui mi ha lasciato passare, e ci siamo messi a leggere uno accanto all'altra.

Non l'ho mai più visto.

Questo mi fa pensare che due delle amiche più intelligenti che abbia mai avuto mi hanno detto quasi la stessa cosa a distanza di anni, a proposito del viaggiare in autobus.
La prima mi raccontava che, facendo sempre lo stesso percorso alla stessa ora, si riconoscono le persone, e quindi impari le abitudini, e dunque puoi metterti accanto a quello che scende presto, per prendere il suo posto.
Lei era una persona così, molto calcolatrice, molto agguerrita e soddisfatta di sé.

Io, che vivo in un mondo tutto mio, non sono mai riuscita a intravvedere una regolarità nei visi che mi circondavano, quando ero frequente viaggiatrice di bus affollati. Neanche adesso sono arrivata ad affinare quest'arte. Mi sento sempre circondata da sconosciuti che vedo - se li vedo - per la prima volta.

Ma l'altra mia amica l'anno scorso mi ha raccontato di aver familiarizzato con i compagni di viaggio di un certo orario, di una certa linea che passa sotto casa mia, che in quel periodo prendeva regolarmente.
Le piaceva riconoscerli per seguirne le vite, ascoltando di sottecchi (sottorecchi?) le loro conversazioni, con interesse e benevolenza. Come fossero vicini di casa. Simpatici.
Perché la mia amica è così, benevola e simpatica e interessata. Infatti continuo a vederla. 
Quell'altra, quando la incrocio per errore, faccio gli scongiuri.

Questi sono piccoli episodi, piccoli ricordi.

Come la mia amica d'infanzia, quando eravamo ragazzine, che si era presa una cotta per un autista di bus.
"Ma è vecchio!", le dicevo io, esterrefatta. "Ma guarda che mestiere fa!"
"Beh...", rispondeva lei. "E' uno che viaggia..."

Piccoli viaggi. Piccole cose.
In certi momenti le vite si fanno piccole così.

Come un percorso d'autobus.

Buona settimana!


Silvana



lunedì 9 aprile 2018

9 aprile 2018 - I nomadi

Negli ultimi tempi mi è capitato di frequente di presentare la mia biblioteca - che è antica e bellissima - in una breve visita guidata, sia ai grandi che ai piccini.

E allora, racconto di Manzoni che veniva a cavallo dalla sua villa di Brusuglio, per visitare gli amici Litta, e poi si riposava sotto il platano (Ma perché non si riposava il cavallo, chiedo io ogni volta. Nessuno mi risponde).
Dico che nel Salone delle Arti ha suonato Mozart.
Spiego che nella cappelletta privata si raccoglievano in preghiera e cantavano lodi e compiete, ma per assistere alla messa andavano in chiesa.
La chiesa che era là dietro, oltre il parco, e adesso è una trattoria.

La trattoria dove io mangio regolarmente, quando ho il turno il pomeriggio.


Mi trovo bene, a pranzare qui.
La mia collega perfezionista, che avrebbe voluto essere chef, trova sempre qualcosa da ridire - e la lasagna è troppo secca, e il sugo della carne sa di pesce, e la trippa non è saporita - ma a me va abbastanza bene tutto.
La pasta non è mai scotta, questo per me è essenziale.
E poi, chi più cucina per me? Solo loro. Anche se non lo fanno per affetto, ma perché pago - e il Comune di Milano, mio datore di lavoro, sovvenziona.

Dicevo: non cucinano per affetto, per me, ma sono cordiali.
Contrariamente ai trattori del posto dove andavo tempo fa, sorridono, salutano, si scambia due chiacchiere.
Siamo esseri umani, insomma. Ci piace fare così.

Ma la settimana scorsa ci hanno raccontato che stanno per andare via. A fine mese si cambia gestione.
Al posto si sono affezionati, e gli dispiace - d'altronde, dico io, non capita tutti i giorni di avere un ristorante in un'antica chiesa - ma non rientrano con le spese. Non c'è parcheggio. La via è medievale, quindi stretta e risicata. Le auto sfrecciano pericolosamente.
Dunque, per n po' se ne andranno a riposare al mare, in Calabria, dove hanno una casa, e poi cercheranno qualcos'altro.

E io pensavo.

E io mi dicevo: ma guarda come vive questa gente, diversa da me, che arriva e apre un'azienda, poi se ne va e ne apre un'altra, e nel mezzo si riposa al mare.
Questa gente intraprendente, che non si mette al servizio degli altri per avere uno stipendio fisso, e in linea teorica può cambiare cielo sulla testa tutte le volte che vuole.

Io, figlia di dipendenti pubblici, a mia volta dipendente pubblica, io che alla data ora devo essere nel tal posto, quante volte ho sognato ad occhi aperti di poter organizzare le mie giornate in altro modo. Di poter guadagnare i miei soldini gestendomi a piacimento tempi e luoghi.
Mentre sono padrona di me stessa.

E penso ai fotografi, agli scrittori, agli autori di guide turistiche, e anche agli zingari.
Che hanno bisogno dei cittadini regolari per vivere sfruttandoli.
Ma che ispirano ai dipendenti pubblici struggenti sogni di vita da bohème.


Poesia giovanile

Buona fortuna a tutti nomadi del mondo. Buon viaggio.
Ai miei trattori, in particolare.

A tutti voi: buona settimana!


Silvana



lunedì 2 aprile 2018

2 aprile 2018 - Come la coda

Dopo Natale viene Santo Stefano.
Dopo Pasqua, il Lunedì dell'Angelo.

La grande festa dell'inverno è dura a morire. Quella della bella stagione altrettanto.
Sono troppo importanti, queste ricorrenze, per abbandonarci dopo un solo giorno di vita.
Si spengono nella dolcezza struggente dell'esitazione.

Come due amici che si tengono per mano ancora un po', dopo essersi abbracciati.

Come chi fa la scarpetta col sugo rimasto nel piatto, dopo una pastasciutta coi controfiocchi.

Come ricevere un'eredità dai genitori, dopo che ci hanno lasciati per sempre.

Come le foglie d'autunno, che diventano d'oro prima di seccare.

Come i titoli di coda dopo i film.
E quelli dei cartoni animati sono i migliori.


Come scorgere in cielo qualche nuvola rossa, dopo che il sole è tramontato.

Come usare in casa un bel maglione, dopo che si è ricoperto di pallini.

Come richiedere il bis ad un pianista, dopo un bel concerto.


Come bersi un buon caffè, alla fine del pranzo delle feste.

Come continuare a vedere la coda, dopo che il gatto si è nascosto.





Buona settimana!



Silvana