lunedì 25 febbraio 2019

25 febbraio 2019 - La cavallina storna

Ieri è stata una giornata speciale.
Mia madre, mia sorella e io siamo andate sul Lago d'Iseo, in visita ai parenti - o, per meglio dire, alle parenti - che abbiamo in quella zona. La zona dove è nata la mamma.

Splendeva il sole e il cielo era azzurro.
Abbiamo incontrato dei cugini, e figli di cugini, ma soprattutto le zie. Quelle rimaste.
E in effetti: non ci si ritrovava dal 2013, anno in cui è scomparsa la zia Rosi.
Ieri l'occasione è stata più felice: abbiamo mangiato tutte insieme in un ristorante sul lago, a Paratico.
Tuttavia...

Il pranzo è stato preceduto da un giro in automobile per le strade della contrada dove i nonni avevano la cascina, bruciata verso la fine della guerra. La zia Ida ci ha fatto da guida. "Guarda, Mari: quella è la corte dell'Angiola, dove si andava a ballare... E lì, te la ricordi la casa del Matt de Telgatt?... E là, dove siamo andate ad abitare quando abbiamo perso tutto, una stanza di sotto e una sopra..."
Le vecchie dimore e le cascine erano visibili a malapena, soffocate com'erano da una quantità irragionevole di villette color cemento - residenze estive cresciute come funghi in questi ultimi anni di speculazione, brutte a vedersi, destinate probabilmente ad affondare in quei terreni, che i locali sanno paludosi, solcati da fossi prosciugati - e certamente umidissime.
Mia madre non riconosceva più niente.
Io stessa, che ero venuta un paio di volte in vacanza sul lago negli anni '90, e poi nei primi 2000, sono rimasta stralunata.

Immagino che il viaggio di ricognizione che abbiamo fatto lungo i nostri volti sia stato analogo.
I cugini che ricordo bambini insieme a me. Le zie che ci crescevano, più giovani di quanto sia io ora.
E chiudo il discorso.

Sulla strada verso il ristorante, la processione di vecchiette sulle strisce pedonali, lente come lumachine, ha fermato il traffico di chi andava in gita sul lago, ma gli automobilisti sorridevano tutti.
Poi, durante il pranzo, una bottiglia di Traminer ha contribuito a scaldare l'anima della festa.

Naturalmente si è parlato della nonna Emilia, amatissima maestra del paese - e dei vecchi metodi di studio.
La zia Ida ha detto che ancora ricordava le poesie studiate a memoria ai tempi della scuola, e ha recitato la Cavallina storna.

Ci sono certe musiche che mi fanno sempre venire la pelle d'oca.
Se vedo qualcuno che sbadiglia sbadiglio sempre.
La Cavallina Storna mi fa sempre venire da piangere.


Queste grandi storie di famiglia, segnate da eventi memorabili.
Queste parole così ritmate, evocative, fuori moda, nostalgiche, belle.
Queste storie strappacuore di animali.
Il tempo che passa.
Il passato che, finché abbiamo memoria, non scompare mai...


Buona settimana!



Silvana

lunedì 18 febbraio 2019

17 febbraio - Il terzo sorriso

In realtà, il terzo sorriso di cui avrei voluto parlare lunedì scorso - ma ero troppo stanca - è quello che si stampa immancabilmente sul volto di chi vede dei cuccioli: quelli degli uomini, quelli dei cani, i micetti, i pulcini, i puledri se capita l'occasione, i girini direi di no. E' un riflesso condizionato che funziona tra mammiferi, credo, utile per la conservazione della specie. 
Una fonte sicura e quasi gratuita di piccola gioia per tutti.

Io questa piccola fonte di gioia personale l'ho persa già da più di tre mesi, e non riesco a darmi pace.

All'inizio di novembre dell'anno scorso è morta la mia gatta Titina.
Aveva poco più di tre anni. 
Le tabelle che si trovano in rete mi dicono che, se fosse stata umana, sarebbe stata una giovane donna di 30 anni.
Ed è così che la immagino io: una mia figlia morta ancora ragazza, sepolta coi capelli lunghi pettinati indietro, i pantaloni di velluto a coste e gli stivali. I gatti più in gamba gli stivali li portano sempre.

Invece, la Titina è stata bruciata dall'Amsa, come per lo più capita ai nostri animaletti.
Quando trovo i suoi peli attaccati a un maglione nell'armadio, o sotto un mobile, mi dico che sono fortunata, perché almeno quel pelo lì mi è rimasto.
Non sono una persona particolarmente pulita. Non sono nemmeno eccessivamente sporca.
I peli degli animali sono tracce tenaci della loro presenza. Chi ha piccoli amici in casa lo sa. 
Io non me ne sono mai preoccupata più di tanto. Adesso, meno che meno.

Penso alla Titina come figlia, credo, perché con lei ho capito che sarei stata una brava madre.
Non era un gatto facile.
Non sapeva giocare senza ferirmi molto dolorosamente. Non resisteva alla tentazione di spaccare le cose che mi piacevano di più.
Io le ho voluto bene lo stesso, incondizionatamente. Lei era fatta così - punto e basta.
Non credo che tutte le donne siano capaci di questo. Mia madre, ad esempio, nei miei confronti non lo è stata.
Io però adesso so che sarei stata una brava mamma.
Grazie, Titina.

D'altronde, anche per la Titina io ero una persona speciale, così com'ero.
Me ne accorgevo quando la lasciavo a mia madre o a mia sorella, per le vacanze. La depressione in cui cadeva durante questi soggiorni forzati, e il muso che mi teneva, al mio ritorno, erano misura di quanto ci tenesse a me.
Mai prima sono stata la preferita di qualcuno. Mai dopo.
Nessun altro mi ha fatto sentire così insostituibile.

Quando è morta la Titina, io non ne ho parlato quasi con nessuno, perché non volevo che un evento così doloroso si scontrasse con l'indifferenza della gente comune.
E' morto un gatto. Un gatto è poco.

Invece, non è poco per me, anche perché questa perdita mi insegna una volta di più che sono una persona segnata dal male.
Con lei non ho perso solo un gatto, ma la certezza che ho il diritto e la probabilità di avere almeno questa piccola gioia.
Prendere un altro micio... E perché mai? Perché mi sia tolto nel giro di poco, un'altra volta? Meglio evitare.
Non è autocommiserazione, questa. Non del tutto.
Sto spiegando come mi sento.

E poi, mi dispiace per lei, perché a lei vivere piaceva tanto, e la sua piccola vita di gattino le è stata negata.
Anche all'ultimo, in preda a quella crisi respiratoria così violenta, si è difesa come una belva dalla veterinaria che cercava di farla addormentare.
A volte mi chiedo se in realtà io non abbia aggiunto dolore al dolore, e spavento allo spavento, facendola sopprimere da quell'estranea che lei tanto detestava. Magari Titina avrebbe preferito morire tra il muro e il bidet, dove era andata a nascondersi. Forse sarebbe stato più naturale.
Ma non se ne è andata gentilmente nella sua notte eterna, la mia gatta. Il poeta Dylan Thomas sarebbe stato fiero di lei.
La mia Titina era una micia con le palle.

Ma tant'è, la mia Titina è morta, e io mi devo abituare.
Come dice mia madre, è stata una gatta fortunata, perché ha avuto me che l'ho curata al meglio, quando si è ammalata.
Come dice la mia amica Eva, probabilmente ero nel suo destino, perché rimanessi al suo fianco.
Come dice mia sorella, non ho niente da rimproverarmi, perché ho fatto per lei tutto il possibile.

Invece, ho il rimpianto di non averla portata sul balcone più spesso, perché stare fuori per lei era una gioia perfetta, ma io avevo paura dei corvi, che già una volta avevano cercato di portarla via, e quindi non la lasciavo andare sola.
Però l'ho tenuta fuori uscire troppo poche volte.
Ma forse i rimpianti e i sensi di colpa sono modi che ci inventiamo per tenere legato a noi chi non c'è più.

Ho parlato poco della Titina, quando è morta, ma adesso scrivo questa lettera. 
Forse una mail penosa - in tutti i sensi. 
Forse  la mail ridicola della vecchia zitella a cui è morto il gatto.

Ma oggi ho scritto della Titina perché la voglio dimenticare, e già altre volte quello di cui ho scritto se n'è andato, mi ha lasciato in pace - o quasi.

Questo lunedì è dedicato alla Titina perché di lei non voglio parlare più.

Buona settimana!


Silvana

https://www.youtube.com/watch?v=1mRec3VbH3w

lunedì 11 febbraio 2019

11 febbraio 2019 - Tre sorrisi

Chi mi conosce sa che non voglio più tornare a Napoli, perché la prima e ultima volta che ci sono andata dei baldi giovani mi hanno tirato addosso una bottiglia d'acqua minerale piena, tanto per ridere.
E' una cosa che racconto spesso di me. Ogni volta che sento parlare di Napoli.

Con Roma, invece, sono sempre stata molto più fortunata. Infatti, ci torno tutte le volte che ne ho la possibilità. 
Sarà che a Roma ho sempre avuto ottimi amici...
Bravi in tante cose - una delle quali è portarmi in giro alla scoperta dei tesori, più o meno noti, di quella che comunque è la città più bella del mondo.
Sabato scorso, per esempio, sono andata con la mia omonima al Mercato Comunale della Montagnola.

I mercati rionali sono sempre belli di colori forme e profumi, e utili per conoscere il carattere della città.
A Roma, ad esempio, si ha l'impressione che esistano tantissime verdure più che a Milano. Tante varietà in più e in quantità maggiore.
I miei amici mi confermano che i romani le adorano! E io ne ho mangiate di buonissime.

Poi, al mercatino ho comprato cinque paia di slip coloratissimi a un euro ciascuno.
Esistono anche a Milano, lo so... 
Però, ricordo che le mutande in technicolor romane erano state un regalo che mia sorella aveva fatto a certe suore amiche sue. 
Quando me le ha mostrate - senza darmene neanche una piccolissima! Neanche un minuscolo tanga! - ho provato una grande invidia per le sorelle.
Forse, quando metterò le mie conquiste a quadrettoni bianchi e verde fosforescente troverò la mia compensazione.

La sorpresa più grande, però, è stata la band di ottoni FanfaRoma: una band di musica GRATIS, suonata da musicisti volontari bravissimi che si trovano a provare una volta a settimana - così hanno detto - e suonano dove capita - come immagino.

E' un vero peccato che siano così lontani dalla biblioteca dove lavoro, perché mi piacerebbe invitarli a esibirsi qui.
Vedere la gente del mercato che si fermava ad ascoltarli con un sorriso grande così, e sorridere anch'io, è stato molto bello.
Forse questo è l'effetto che fanno tutti i musicisti di strada.


Lo stesso sorriso lo vedo a volte stampato sulla faccia della gente che va in giro con la confezione una torta di pasticceria in mano.
Che cosa di preciso farà piacere? La prelibatezza del dolce? La felicità della condivisione con le persone care? Un riflesso condizionato alla cane di Pavlov?
Chissà.
Quando pensavo a storie per bambini, avevo immaginato un re disperato di vivere in un paese di musoni, che per rallegrare la sua gente aveva organizzato a proprie spese la distribuzione di torte gratis, con l'obbligo di trasportarle da un punto all'altro della città.
Nessuno dei sudditi musoni volle obbedire, immaginando chissà quali trame a loro danno...
E il re, stufo marco della sua gente, alla fine scappò dal castello per vivere per sempre felice e contento insieme al suo pasticcere, in incognito.

Il terzo sorriso in realtà non so bene quale sia.

Forse è il mio - il sorriso di soddisfazione per essere riuscita a scrivervi nonostante la stanchezza del viaggio di ritorno da Roma.

Buona settimana!


Silvana

lunedì 4 febbraio 2019

4 febbraio 2019 - Mandala book

Forse l'ho già raccontato: quando dico che faccio la bibliotecaria mi sento rispondere: "Uh che meraviglia! Chissà quanti libri leggi!"
Sì, ne leggo, ma non perché sia bibliotecaria. Li leggerei in ogni caso. E comunque, non sul posto di lavoro, perché lì non ne ho il tempo né il modo, essendo occupata in cento altre attività.
I libri me li leggo a casa ma. O sul tram.
Invece, c'è un'altra cosa che faccio perché soltanto perché sono bibliotecaria.
Una cosa inimmaginabile.

Uno dei miei libri preferiti è "La vita, istruzioni per l'uso".

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Questo romanzo narra la storia dei 100 abitanti (anzi, 99) di un edificio parigino, uno per ogni stanza della facciata (tranne una, che rimane misteriosa).
Il fil-rouge della narrazione è costituito dal progetto dell'inquilino miliardario che, avendo imparato in gioventù a dipingere ad acquarello dopo anni e anni di studi (non era portato, in verità),  viaggia per il mondo e spedisce i sui dipinti a casa, a Parigi. Ritornato, li incolla su una tavola di legno. Poi taglia i pezzi, li scompone, li ricompone, distrugge il puzzle. 
Ad ogni fase dell'operazione dedica una decina d'anni. E non riesce ad arrivare alla fine, sorpreso dalla morte.

Un paio d'anni fa ho guardato la spaventosissima serie TV House of cards.
Ricordo questi film con tanta angoscia.
Il contenuto - i giochi di potere - era angosciante. Il periodo in cui li ho visti pure.
Ho provato un momento di pace seguendo la vicenda di un gruppo di monaci buddhisti che, invitati alla Casa Bianca, prima hanno composto un enorme mandala di sabbia, poi  ne hanno trasportato le ceneri - diciamo così - fino a un fiume, e lì l'hanno fatto rapire dalle acque.


Qualcuno lo avrà già capito: quello cui mi dedico perché sono bibliotecaria è distruggere i libri.
Lo faccio perché è un mio compito istituzionale.
Perché so che so scegliere quello che è da eliminare.
Perché sono troppo brutti e non li legge nessuno da anni.
Perché quel certo autore ne scrive troppi e ci porta via più di uno scaffale.
Li distruggo perché stanno per arrivare libri nuovi che devono trovare uno spazio dove stare.
Li distruggo perché mi piace strappare via la copertina, metterli a nudo e poi mandarli al macero.
Per lo più non riesco a farlo a casa mia, quindi vengo in biblioteca e mi sfogo: li distruggo.
Perché li vedo tremare quando mi avvicino a uno scaffale, ma so che ne salverò la stragrande maggioranza.
Perché mi diverte comporre installazioni filosofiche di libri da distruggere lungo il giroscala.

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E già ne ho distrutti molti

Distruggo i libri perché devo.

Diceva il padre di una persona che purtroppo ho conosciuto: "Se non ci fosse la morte, hai idea di che razza di autobus girerebbero per Viareggio?"
Lo stesso io, nel mio piccolo essere (come) dio, faccio respirare la biblioteca, che elimina gas combusto, e poi lascia entrare ossigeno nuovo, nella sua natura organica, nel suo essere come un animale.

C'è solo un piacere bibliotecario che sia maggiore di questo mandare il marcio al macero: scegliere libri nuovi, farli comprare e poi levarli dalle casse, quando arrivano.

E forse mi rendo conto di questo: mi piace distruggere libri perché so che non riuscirei mai a leggerli tutti.
E allora, lo faccio per vendetta.

Ma non sono egoista: se volete, invitatemi a casa vostra. Non so buttare i miei libri, ma forse coi vostri non avrei problemi.
Li sceglierei per bene - i più gialli, i più rotti, i più stupidi che abbiate - e sapete che ne farei?
No, non li distruggerei.
Ve li farei portare in dono in una biblioteca.


Buona settimana!


Silvana