lunedì 18 febbraio 2019

17 febbraio - Il terzo sorriso

In realtà, il terzo sorriso di cui avrei voluto parlare lunedì scorso - ma ero troppo stanca - è quello che si stampa immancabilmente sul volto di chi vede dei cuccioli: quelli degli uomini, quelli dei cani, i micetti, i pulcini, i puledri se capita l'occasione, i girini direi di no. E' un riflesso condizionato che funziona tra mammiferi, credo, utile per la conservazione della specie. 
Una fonte sicura e quasi gratuita di piccola gioia per tutti.

Io questa piccola fonte di gioia personale l'ho persa già da più di tre mesi, e non riesco a darmi pace.

All'inizio di novembre dell'anno scorso è morta la mia gatta Titina.
Aveva poco più di tre anni. 
Le tabelle che si trovano in rete mi dicono che, se fosse stata umana, sarebbe stata una giovane donna di 30 anni.
Ed è così che la immagino io: una mia figlia morta ancora ragazza, sepolta coi capelli lunghi pettinati indietro, i pantaloni di velluto a coste e gli stivali. I gatti più in gamba gli stivali li portano sempre.

Invece, la Titina è stata bruciata dall'Amsa, come per lo più capita ai nostri animaletti.
Quando trovo i suoi peli attaccati a un maglione nell'armadio, o sotto un mobile, mi dico che sono fortunata, perché almeno quel pelo lì mi è rimasto.
Non sono una persona particolarmente pulita. Non sono nemmeno eccessivamente sporca.
I peli degli animali sono tracce tenaci della loro presenza. Chi ha piccoli amici in casa lo sa. 
Io non me ne sono mai preoccupata più di tanto. Adesso, meno che meno.

Penso alla Titina come figlia, credo, perché con lei ho capito che sarei stata una brava madre.
Non era un gatto facile.
Non sapeva giocare senza ferirmi molto dolorosamente. Non resisteva alla tentazione di spaccare le cose che mi piacevano di più.
Io le ho voluto bene lo stesso, incondizionatamente. Lei era fatta così - punto e basta.
Non credo che tutte le donne siano capaci di questo. Mia madre, ad esempio, nei miei confronti non lo è stata.
Io però adesso so che sarei stata una brava mamma.
Grazie, Titina.

D'altronde, anche per la Titina io ero una persona speciale, così com'ero.
Me ne accorgevo quando la lasciavo a mia madre o a mia sorella, per le vacanze. La depressione in cui cadeva durante questi soggiorni forzati, e il muso che mi teneva, al mio ritorno, erano misura di quanto ci tenesse a me.
Mai prima sono stata la preferita di qualcuno. Mai dopo.
Nessun altro mi ha fatto sentire così insostituibile.

Quando è morta la Titina, io non ne ho parlato quasi con nessuno, perché non volevo che un evento così doloroso si scontrasse con l'indifferenza della gente comune.
E' morto un gatto. Un gatto è poco.

Invece, non è poco per me, anche perché questa perdita mi insegna una volta di più che sono una persona segnata dal male.
Con lei non ho perso solo un gatto, ma la certezza che ho il diritto e la probabilità di avere almeno questa piccola gioia.
Prendere un altro micio... E perché mai? Perché mi sia tolto nel giro di poco, un'altra volta? Meglio evitare.
Non è autocommiserazione, questa. Non del tutto.
Sto spiegando come mi sento.

E poi, mi dispiace per lei, perché a lei vivere piaceva tanto, e la sua piccola vita di gattino le è stata negata.
Anche all'ultimo, in preda a quella crisi respiratoria così violenta, si è difesa come una belva dalla veterinaria che cercava di farla addormentare.
A volte mi chiedo se in realtà io non abbia aggiunto dolore al dolore, e spavento allo spavento, facendola sopprimere da quell'estranea che lei tanto detestava. Magari Titina avrebbe preferito morire tra il muro e il bidet, dove era andata a nascondersi. Forse sarebbe stato più naturale.
Ma non se ne è andata gentilmente nella sua notte eterna, la mia gatta. Il poeta Dylan Thomas sarebbe stato fiero di lei.
La mia Titina era una micia con le palle.

Ma tant'è, la mia Titina è morta, e io mi devo abituare.
Come dice mia madre, è stata una gatta fortunata, perché ha avuto me che l'ho curata al meglio, quando si è ammalata.
Come dice la mia amica Eva, probabilmente ero nel suo destino, perché rimanessi al suo fianco.
Come dice mia sorella, non ho niente da rimproverarmi, perché ho fatto per lei tutto il possibile.

Invece, ho il rimpianto di non averla portata sul balcone più spesso, perché stare fuori per lei era una gioia perfetta, ma io avevo paura dei corvi, che già una volta avevano cercato di portarla via, e quindi non la lasciavo andare sola.
Però l'ho tenuta fuori uscire troppo poche volte.
Ma forse i rimpianti e i sensi di colpa sono modi che ci inventiamo per tenere legato a noi chi non c'è più.

Ho parlato poco della Titina, quando è morta, ma adesso scrivo questa lettera. 
Forse una mail penosa - in tutti i sensi. 
Forse  la mail ridicola della vecchia zitella a cui è morto il gatto.

Ma oggi ho scritto della Titina perché la voglio dimenticare, e già altre volte quello di cui ho scritto se n'è andato, mi ha lasciato in pace - o quasi.

Questo lunedì è dedicato alla Titina perché di lei non voglio parlare più.

Buona settimana!


Silvana

https://www.youtube.com/watch?v=1mRec3VbH3w

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