lunedì 8 settembre 2014

8 settembre 2014 - Hit list celtica


Poco più di una settimana fa ero sull’aereo che mi riportava da Dublino a casa mia.
Avevo il finestrino alla mia sinistra, e alla mia destra un baldo e bravo giovanotto, studente del DAMS di Bologna, che tornava coi genitori da un viaggio premio di qualche giorno, elargito al padre dalla sua ditta.
Era stato rapito in conversazione dall’irlandese seduto al suo fianco, il giovine, che evidentemente contagiato dall’atmosfera di comunicazione generalizzata tipica dell’Isola di Smeraldo, nell’unico momento di pausa concessogli dal suo compagno di viaggio si volta verso di me (disdetta!) per infliggermi a sua volta i miei buoni 10 minuti di socializzazione forzata.
E’ vero, la colpa è stata mia: per guadagnarmi qualche minuto di riposo mentale gli ho chiesto che cosa gli fosse piaciuto più di tutto, di Dublino e dell’Irlanda. Giusto per tenere la sua mente occupata in una risposta.
Non avevo tenuto conto dell’effetto boomerang: al momento debito, anche lui mi ha chiesto: “E a lei, che cosa è piaciuto più di tutto, a Dublino?”, con una tal aria “patronizing” che mi ha fatto sentire molto più avanti degli anni che ho: diciamo sulla settantina.
Sul momento, ho ammannito al baldo giovane una risposta qualsiasi (d’altronde, anche lui aveva fatto così con me - difatti non ricordo cosa mi abbia detto). Forse, per farla breve, ho ribattuto “Non certo il tempo atmosferico!”, mia vera spina nel fianco di quei giorni.
Ma con più agio e tempo per rispondere, in una tardiva meditazione sul mio soggiorno, alla fine qualche risposta me la sono data. E quindi, ecco quel che più di tutto mi è piaciuto:

Il retro delle case e i cortili poco curati.
Non è facile vederli, perché in genere i turisti si concentrano sul davanti delle città. Ma se guardi fuori dai finestrini della DART - il treno metropolitano - quando viaggi avanti e indietro tra il centro e la periferia residenziale, ti accorgi di esserne circondato.
Una vera visione da sogno.
Si poteva scorgere un ritaglio di didietro dublinese anche da una finestra della mia scuola:




Sempre dalla DART, all’inizio della giornata riuscivo a cogliere per qualche attimo la visione della luce del mattino sui ponti sul Liffey.
Straordinaria.



Poi, mi piacciono molto i toponimi irlandesi.
Probabilmente apprezzerei il gaelico d'origine – che però di sicuro non studierò mai. 
Ma più ancora mi deliziano le parole celtiche filtrate dalla lingua dei conquistatori inglesi.
Kilkenny, Malahide, Killester, Tipparery. Suoni selvaggi e dolci, che sanno di struggimento in un esilio lontano e di fiera ribellione.
Me li recitava come in un rosario – come dubitarne – la voce artificiale che annunciava le stazioni della DART.


Insomma, oramai si è capito: mi piaceva la stazione di Tara Street della DART.
Arrivare e tornare sempre dallo stesso posto, e saper leggere il tabellone delle partenze, mi dava l’impressione di essere una veterana della città.



Poi: mi è piaciuta l’architettura georgiana.
Non quella degli edifici ufficiali, governativi. No no, i monumenti li ho trovati grigi, noiosi, deprimenti… Il Trinity College, la Custom House, il Castello di Dublino, per me, se anche non ci fossero sarebbe lo stesso. Per una persona che viene dall’Italia, non per dire, vuoi mettere coi monumenti che abbiamo noi?
Ma le casette di mattoni rossi… Quelle sono davvero eccezionali!



Tra i monumenti ufficiali, però, me ne è piaciuto uno modernissimo: the Spire, il Monumento alla Luce
I dublinesi non lo apprezzano. Lo chiamano con nomi volgarissimi e divertenti (The Erection at the Intersection, o The Stiffy in the Liffey).
Capisco che, adesso che sono in crisi, preferirebbero darlo indietro per riavere i 5 milioni che gli è costato ai tempi della Celtic Tiger.
Ma a me, quell’ago mastodontico che si perde nel cielo sembra una delle sette meraviglie. Il simbolo delle idee geniali – quelle semplici e d’effetto. Per favore, tenetelo lì per sempre.



Un luogo comune: mi è piaciuto il cielo d’Irlanda.
Il maltempo quasi continuo mi ha fatto dannare, ma effettivamente il vento porta una varietà estremamente fotogenica.
In Irlanda ti basta puntare la macchina fotografica verso l’alto e hai buone probabilità di scattare qualcosa di interessante. Sempre e comunque.



Mi è piaciuto come la luce gira nelle case irlandesi, quando c'è.
Entra dall'alto a testa in giù, poi cammina per le stanze, sui tacchi. Come una donna.



Della casa in cui abitavo, mi piaceva la tolleranza con cui veniva considerato - o ignorato, per meglio dire - il naturale accumularsi delle cose. E della polvere sulle cose.
Tenete presente che nel Nord Europa, dove questa tolleranza è diffusa, le donne sono diventate grandi scrittrici e presidenti della Repubblica.



Io, insomma, non sono una persona deviante: sono solo nata nel posto sbagliato.

Mi è piaciuto l’accento irlandese.
E’ provinciale e buffo. Forse, alle orecchie degli anglofoni più accreditati fa un po’ l’effetto dell’accento bergamasco dalle nostre parti.
Io personalmente, una volta che mi sono abituata agli “oi”, alle “u”, agli “eu”, alla inesistenza del “th” (sai che nostalgia…), non ho mai capito così bene l'inglese parlato.
Grazie, Irlanda, per una volta non mi sono sentita handicappata in un paese anglofono.
Penso che sia merito del sostrato celtico: secondo me il gaelico si parla lentamente. Anche qui in Italia, in Lombardia si parla più lentamente che in altre zone. E anche qui hanno vissuto i Celti, prima dei Romani.
Come a dire: forse noi e gli Irlandesi siamo un po’ parenti. Che bello.


Se poi vi dicono che gli Irlandesi sono chiacchieroni, potete crederci.
Ma chiunque arrivi in Irlanda è preso dal morbo della conversazione. Anche i turisti parlano un sacco tra di loro.
Andate in un pub e fate la prova. E’ divertente.
A un livello più alto, il dono della favella è abilità scrittoria, predisposizione letteraria. Pensate solo a che incredibile concentrazione di scrittori ci sia nel popolo irlandese.
D'altronde, solo un popolo con una grande propensione alla narrazione può affiggere questo cartello



che potete trovare, naturalmente, sulla DART (traduco molto liberamente: STAI LONTANO! Se non rispetti la linea gialla potrai incontrare qualcuno molto più cattivo del controllore).

Inoltre, i dublinesi sono gentili.
Cercando di raggiungere la prigione di Kilmainham abbiamo chiesto indicazioni a un autista, e quello è sceso dal tram per mostrarci che strada dovevamo prendere. Tra i passeggeri, nessuno si è lamentato.
Perdetevi a Dublino, e vivrete una bella esperienza umana. Ne sono quasi sicura.

Poi, mi è piaciuto il pile che mi sono comprata al St. Stephen’s Moll, dopo davvero troppo, troppo tempo che soffrivo il freddo.
Ringrazio Inna, che mi ha ispirato e assistito nell’acquisto, un giorno che un acquazzone ci ha bloccate per un'oretta in  St. Stephen's Green, sotto i rami di una quercia, fino a quando la quercia ha smesso di ripararci dalla pioggia.
C’è un problema, e c’è la soluzione, è così facile.
Come quando ho la bici a terra: perché devo aspettare due settimane per gonfiarla? Chi lo sa.



E cito di nuovo Inna, dicendo: dell’Irlanda piacciono le mucche, stese sui prati come gatti.
Io le ho viste da vero dal finestrino dei pullman, durante le gite che ho fatto, e anche stampate sulle confezioni del burro.


Mi è piaciuto lo spessore dell'erba, che è molto verde, ma è anche molto spessa e morbida. La terra non si vede, tra un filo d'erba e l'altro.
Il lato positivo di tutta l'odiosa, freddissima pioggia che viene giù



Dell’Irlanda e di Dublino, però, di sicuro più di tutto mi piacciono le cose che non ho visto e che non ho fatto.
Dunque, mi piace pensare che sono ancora lì e che magari un giorno riesco a ritornarci.
Chissà come si dice “La speranza è l’ultima a morire”, in gaelico.

Sigla




E buona settimana!


Silvana

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