lunedì 9 febbraio 2015

9 febbraio 2015 - Le cose

Quando ero bambina,  entrare nei negozi di ferramenta non mi piaceva.
Mi respingeva l'odore del metallo, e l'idea della durezza della merce venduta mi metteva in allarme, quasi dovesse cadermi tutta addosso all'improvviso.
Invece, entrare nelle panetterie e nelle pasticcerie era una festa. Triste, perché non potevo portare via quasi niente, però l'odore, la vista, e pregustare il sapore... Un paradiso!

Date queste premesse, avrei mai potuto lavorare in un'officina meccanica?
Naturalmente no.
E da un fornaio? O in una pralineria?
Sarei già morta di piacere, o di obesità.


Una biblioteca rappresenta un buon compromesso.
Sono circondata da oggetti che mi piacciono, e che non fanno male al mio fisico. Magari, anzi, fanno bene alla mia mente e al mio spirito.

Dirò anche che, col tempo, mi sono resa conto di un ulteriore vantaggio.
Se dovessi possedere tutti i libri che ho letto, non avrei spazio per vivere, in casa mia.


Un  particolare del mio sgabuzzino

E allora, per così dire, ho fatto del posto dove lavoro la mia casa.
Lì, possono stare comodamente tutti i libri che mi piacciono. E anche quelli che non mi piacciono.
Noi bibliotecari, in fondo, siamo persone democratiche e pacifiche.

Ma cambiamenti epocali si stagliano per noi all'orizzonte.

Tempo fa, una mia amica mi ha segnalato questo articolo del Guardian sulla Libreria Digitale del Politecnico della Florida, 


e mi ha chiesto cosa ne pensassi, in quanto bibliotecaria.
Io ho girato la domanda alle mie colleghe, che mi hanno risposto:

"Scaffali vuoti? Opere unicamente in digitale? E che libri ruberebbero, gli utenti? Gli studenti che pagine sottolineerebbero, sui libri pubblici? E su che poltrone si stravaccherebbero, per studiare?"
Il che certamente ci illumina sulla resistenza psicologica e sui dubbi professionali che noi tecnici del campo avanziamo a proposito del digitale.
E poi, diciamocelo chiaramente: che fine faremmo noi bibliotecari, se sparisse la fisicità del libro?


       
Immagini da Google: ex bibliotecari, rispettivamente, del Comune di Londra e del Comune di Bangkok

Speriamo che in qualche modo ci sappiano riciclare.

Come lettrice, devo dire che il mio atteggiamento nei confronti di e-book e di e-reader è diverso.
Li adoro.
Non perché sia giovane mentalmente, ma proprio perché non sono più tanto giovane fisicamente.
Non ci vedo più troppo bene?
Allargo il font del libro.
I libri sono pesanti da reggere e da trasportare di qua e di là?
L'e-reader è leggerissimo e contiene centinaia di libri.
Se leggi a letto, il libro è scomodo da maneggiare, sia che tu giaccia sul fianco destro, che sul lato sinistro.
L'e-reader lo giri e rigiri come ti pare, ed è sempre visibilissimo e maneggevolissimo.
Una goduria.

Ma c'è un aspetto dell'e-book che, se da un lato non mi attrae, dall'altro mi agghiaccia.
E-book ed e-reader sono come la nostra testa, coi suoi contenuti.
Pensiamo una cosa? La cosa ci appare.
Non la pensiamo più?
Scompare.
Ricordiamo una persona? Vediamo la persona.
La dimentichiamo? La persona per noi è come morta.
Con buona pace dell'inconscio di Freud.
Allo stesso modo: smettiamo di leggere un e-reader?
Lo spegniamo. E l'e-book dove va? Nell'inconscio della macchina?
Quando abbiamo finito di leggere l'e-book, chiudiamo il file. 
E il romanzo che abbiamo terminato per noi è come morto. Intendo dire: fisicamente seppellito. Sparisce alla nostra vista.
E i nostri ricordi di quanto abbiamo letto si accendono nella nostra mente come poco prima le pagine virtuali nell'e-reader.

Mentre il libro di carta oppone una resistenza fisica alla nostra trascuratezza che lo rende immortale.
I primi stampati del '500 continuano a esistere, che noi li apriamo o no.


Da Google: Museo Gutenberg di Magonza
I papiri egiziani ci sono ancora.
Intendo dire: i libri sono eterni. Contrariamente a noi: sono lì per sempre.
Li finiamo, li chiudiamo, li mettiamo lì su uno scaffale, e rimangono nelle nostre case, nel bene e nel male.
E i personaggi della storia?
Vivono nel libro chiuso in una contemporaneità di prima e dopo che ha il sapore dell'eternità e del divino.
Se un occhio umano non passa sulle righe dei libri, la storia è compresente a se stessa in ogni secondo, dall'incipit al finale.

I libri sono più grandi di noi, e divinamente disumani.

A questo proposito, vi offro un racconto che ho scritto tanto tanto tempo fa, e pubblicato, guarda caso, in una mini raccolta self-published su Amazon:


L’eternità 

Re Aroldo, sentendosi ormai vecchio, voleva capire che cosa fosse l’eternità. 

Si rivolse quindi al vescovo, e lo invitò a cena a palazzo. 

Da un capo all’altro della lunga tavolata, occhieggiando un piatto di lumache, il vescovo gli 

«È molto semplice, sire. L’eternità è il tempo senza fine dopo la morte, quindi dopo il 

Giudizio Universale. È l’Inferno o il Paradiso per sempre, a seconda di quanto abbiamo meritato su 

Poi estrasse un animaletto dal guscio e se lo portò alla bocca. 

«Tutti credono all’Inferno e al Paradiso?» chiese Aroldo. 

Il vescovo masticò una, due volte, poi rispose: 

«No, non tutti. In compenso, alcuni credono anche nel Purgatorio. In Purgatorio il tempo 

passa come sulla terra: si trascorre lì un certo numero di anni, poi si può godere dell’eterna presenza 

Quindi, invitò un filosofo a passeggiare con lui nel parco. 

Rivolgendo lo sguardo dei suoi occhi azzurrissimi su un punto imprecisato oltre il naso del re, 

«Nell’eternità non esiste il tempo come lo intendiamo noi, sotto la specie di passato, presente 

e futuro. Non esiste neanche lo spazio. Tempo e spazio sono le due dimensioni di cui la mente 

umana si serve per percepire il mondo e comprenderlo, ma non sono assolute. Cosa ci sia oltre il 

tempo, però, nessuno può affermarlo con certezza. 

«Probabilmente, ciascuno di noi si raffigura l’eternità in modo diverso, a seconda della 

potenza dell’intelletto e dell’indole di cui è dotato...

«A mio avviso, l’eternità è l’aspirazione della nostra anima, che oppressa dall’hic et nunc 

della vita di ogni giorno, in quanto scintilla dell’infinito, desidera tornare a congiungersi con la 

Qui, il filosofo chiuse gli occhi sul paesaggio di foreste e campi che si estendeva ai loro piedi 

Il giorno seguente, i banditori di corte raggiunsero i quattro angoli del regno e si appellarono 

ai sudditi di ogni età, sesso e ceto, perché si presentassero al cospetto del re e gli esponessero 

l’immagine con cui la loro mente si raffigurava l’eternità. 

Primo tra tutti venne il boia che, posto un ferro di tortura nel fuoco di un braciere, quando fu 

incandescente lo ritirò e lo mostrò al re dicendo: 

«Io penso che quando appoggio questo sul petto di un uomo, il tempo che glielo lascio 

«Grazie, boia» rispose Aroldo chiudendo gli occhi, «Capisco perfettamente checosa intendi, 

Una ragazza dai ricci neri e gli occhi ardenti si avvicinò leggera al trono, e disse: 

«Sire, io sono innamorata, e sento che il mio amore non avrà mai fine. Sento che se anche 

morisse colui che amo, lui continuerebbe a vivere in me, e lo porterei al di là del tempo. Questa per 

Sorrise re Aroldo, e annuì contento, e nel congedarla ringraziò la giovane di cuore. 

Fu la volta di uno stampatore, che si presentò davanti al trono reggendo un libro singolare su 

Questo libro era così grande che il dorso si incurvava descrivendo un cerchio perfetto, di 

modo che, non protette dalla copertina, che non c’era, la prima e l’ultima pagina arrivavano a 

toccarsi. Per la verità, prima e ultima pagina non si distinguevano in nessun modo: il libro non 

«Ho già capito cosa intendi, stampatore» disse il re prima che il suo suddito potesse aprire 

bocca, «Non avertene a male, però, se ti dico che il tuo libro è come una ruota che gira, e una ruota 

che gira si ripete sempre uguale, non è un’immagine dell’eternità!». 

«Certo, mio sire, ne convengo» rispose lo stampatore. «Immaginate però che non sia un uomo 

a leggere questo libro. Noi dobbiamo passare gli occhi sulle pagine riga per riga, una parola dopo 

l’altra, e la storia si svolge nella nostra mente con un passato, un presente e un futuro, e cioè: le 

pagine che abbiamo già letto, quella che stiamo leggendo, e quelle che restano da leggere. 

Invece, io penso a una mente ipotetica che conosca la storia a libro chiuso, se chiuso può 

definirsi questo libro. Tutte le parole in essa vivono contemporaneamente, senza che vi sia un 

Di più non riesco a dire, non trovo altre parole per spiegare» 

«Sì, sì, sì... Interessante, comincio a comprendere» disse Aroldo accarezzandosi la barba 

bianca. Quindi, alzatosi dal trono, si avvicinò al libro infinito, mise con delicatezza un dito tra due 

“C’era una volta un ladro abilissimo...”



e vi propongo anche anche una poesia di Borges, bellissima e spaventosa:


LE COSE

Le monete, il bastone, il portachiavi,
la pronta serratura, i tardi appunti
che non potranno leggere i miei scarsi
giorni, le carte da gioco e gli scacchi,
un libro e tra le pagine appassita
la viola, monumento d’una sera
di certo inobliabile e obliata,
il rosso specchio a occidente in cui arde
illusoria un’aurora. Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
ci servono come taciti schiavi,
senza sguardo, stranamente segrete!
Dureranno piú in là del nostro oblio;
non sapran mai che ce ne siamo andati
.


Sono sicura che apprezzerete la mia presunzione: accostare una mia creazione a quella di un premio Nobel!
Ma tanto, che importa?
In uno scenario da terza Guerra Mondiale, non verrà più erogata la corrente elettrica, e tutti i server e i terminali del mondo rimarranno spenti.

Basta blog.
Basta e-book.

Eternità


Buona settimana!


Silvana

Nessun commento:

Posta un commento