lunedì 23 febbraio 2015

23 febbraio 2015 - Aspettare

Lo scorso 31 dicembre non ho festeggiato Capodanno. Sono andata a dormire senza aspettare la mezzanotte, e quando mi hanno svegliato i botti mi sono girata sull'altro fianco, infastidita, per riaddormentarmi subito dopo.
Nel pomeriggio, però, ho salutato degnamente il 2014 prendendo una cioccolata con la mia amica Nicoletta.
Avevo lasciato la bici fuori, legata a un palo, e quando sono uscita l'ho trovata sdraiata a terra. Era scivolata piano piano.
"Si è messa comoda come un cane fuori dal supermercato! Sarà stata stanca..." ha detto Nicoletta.
Un'immagine che mi è piaciuta moltissimo. Avrei voluto che venisse in mente a me.

Non è venuta in mente a me ma colgo lo spunto.
Pensate che bello: andate in giro in bici, fate qualcosa da qualche parte, e la bici - fingiamo che non esistano i ladri - vi aspetta fuori, paziente. 


​Biciclette in paziente attesa all'esterno della Stazione Centrale di Amsterdam

Le cose hanno una stabilità, una pazienza che io trovo consolanti.
Forse per questo siamo diventati consumisti.

Immagine da Google: la raccolta di scarpe di Imelda Marcos

E come lasciamo la bici fuori, aspettandoci di ritrovarla lì, fedele, possiamo allacciarci una catenina al collo al mattino, prima di uscire di casa (di nuovo: astraiamoci dalla presenza dei borseggiatori).
Una volta pensavo che così fosse l'amore vero: come una catenina d'oro. Puoi vivere la tua giornata sapendo che c'è, senza doverci pensare. Poi,a sera la ritrovi, prima di andare a dormire.
In realtà, come ci ha insegnato De Gregori, 


gli amori e le catenine si spezzano in un secondo. Ma noi astraiamo.

E pensiamo ai cagnolini - quelli che attendono le loro padrone all'uscita dei supermercati.
Se mai lavorerò su un progetto fotografico (come ho imparato lunedì scorso, si chiama "portfolio"), farò questo: mi apposterò nei pressi dell'Esselunga, del Carrefour, della Coop e anche di Lidl e riprenderò i quattrozampe legati fuori.
Non tutti si sdraiano, rilassati come la mia bici. Per la verità, quasi nessuno.
Quelli che ho visto io in genere stanno in piedi e spiano all'interno del negozio, fremendo di tensione e apprensione.
Alcuni scodinzolano sulla fiducia - ma non a chi cerca di consolarli: festeggiano l'idea del padrone che tornerà.
Alcuni tacciono e sopportano, stoici.
Altri non si trattengono, e uggiolano e piangono senza vergogna.
Ma per fortuna ci sono, questi cagnolini in attesa: stamattina ho fatto un primo giro di ricerca per il mio portfolio bau, ma non ho trovato nessuno.
L'uscita del super mi è parsa assai abbandonata e squallida.


Chissà invece come erano belle le uscite dei saloon del Far West, con tutti quei cavalli legati fuori ad aspettare i cow-boys...
Quando ero bambina, e nutrivo una passione smisurata per gli equini, non mi capacitavo che i loro padroni se ne potessero separare, neanche per il tempo di un whisky al bancone


Sognavo di entrare nei film, e abbracciare tutti i cavalli legati al palo.

Non ho mai abbracciato i cavalli, ma fino a qualche anno fa facevo molte coccole ai miei gatti, che mi aspettavano tranquilli a casa mentre ero fuori, a vivere la mia vita.
Uscivo al mattino, prendevo l'autobus per andare al lavoro, insieme a tanti altri milanesi.
Pensavo a come ci distribuiamo per la città, 

Milano in tram - Milano, 1980 (ATM - DA)

lasciando le nostre case vuote.
E a tutti i gatti che rimangono nelle nostre case, a marcare il territorio della nostra assenza.
Avevo scritto questo

L’assenza

Quando al mattino ci distribuiamo per le vie della città, a piedi, in macchina o in 

metropolitana, e viviamo la giornata come dobbiamo, come possiamo, dietro alle porte blindate 

chiuse a chiave lasciamo i custodi delle nostre case vuote e silenziose, i gatti.

Mentre lavoriamo, studiamo, o corriamo in faccende ai quattro angoli del mondo, non ci 

sfiora il pensiero di loro, soli nello spazio che ci vede assenti, momentaneamente abbandonati tra la 

camera da letto e il bagno, tra la cucina e il salotto buono, a regolare i loro movimenti secondo il 

ritmo arbitrario delle finestre chiuse, delle porte accostate, mentre cercano un posto, un modo per 

passare il tempo.

Cosa fanno, i gatti, quando non ci siamo?

Odono rumori a noi ignoti, la traccia sonora che avvolge casa nei giorni feriali: il brusio del 

mercato che sale dalla strada; i passi della vicina sul pianerottolo, quando torna con la spesa che noi 

facciamo solo il sabato; magari il ladro che tenta la nostra serratura, con la mascherina nera sugli 

occhi, e loro lì, dall’altra parte, a baffi sollevati, guardano abbassarsi la maniglia e forse spariranno 

sotto il letto alla vista improvvisa di uno sconosciuto, forse sospireranno di sollievo quando lo 

sentiranno allontanare, di soppiatto.

Oppure no. I gatti sono indifferenti.

Indifferenti come noi, che al ritorno ignoriamo i segni delle loro azioni. Il topo di pezza 

ricomparso sotto il tavolo dopo mesi di segreta latitanza, la ciotola vuota, il leggero infossamento 

sul cuscino, sporco di peli, ancora leggermente caldo, appena sfiorano il nostro sguardo, la nostra 

considerazione.

D’altronde, già lo sospettiamo, applicarci a tali misteri è inutile. Come sapere delle nostre 

case vuote? Come sapere dei gatti?

Li guardiamo, mentre seduti di fronte a noi stringon le palpebre, perduti ai nostri occhi 

anche se presenti, e comprendiamo.

Quello che i gatti fanno in nostra assenza non lo potremo mai sapere.


E questo, che ho scritto io, è solo la brutta copia della poesia della Szymborska - che, naturalmente ai tempi non avevo letto.
Ancora una volta oso accostare i miei scritti a quelli di un premio Nobel!

"Il gatto in un appartamento vuoto" 
di Wislawa Szymborska

Morire – questo a un gatto non si fa.
Perché cosa può fare il gatto in un appartamento vuoto?
Arrampicarsi sulle pareti.
Strofinarsi tra i mobili.
Qui niente sembra cambiato,
eppure tutto è mutato.
Niente sembra spostato,
eppure tutto è fuori posto.
E la sera la lampada non brilla più.
Si sentono passi sulle scale,
ma non sono quelli.
Anche la mano che mette il pesce nel piattino
non è quella di prima.
Qualcosa qui non comincia
alla sua solita ora.
Qualcosa qui non accade
come dovrebbe.
Qui c’era qualcuno, c’era,
e poi d’un tratto è scomparso,
e si ostina a non esserci.
In ogni armadio si è guardato.
Sui ripiani è corso.
Sotto il tappeto si è controllato.
Si è perfino infranto il divieto
di sparpagliare le carte.
Cos’altro si può fare.
Aspettare e dormire.
Che provi solo a tornare,
che si faccia vedere.
Imparerà allora che con un gatto così non si fa.
Gli si andrà incontro come se proprio non se ne avesse voglia,
pian pianino,
su zampe molto offese.
E all’inizio niente salti né squittii.
Adesso io di gatti non ne ho più. Neanche più quelli.
Però di tanto in tanto curo il micio Amore della mia amica, quando lei è in viaggio.
L'ultima volta, in occasione di una crociera nei Paesi Arabi, ho scattato questa foto dell'appartamento vuoto


Vi siete mai aggirati nella casa vuota di una persona che vi è cara?
Tutto sembra sospeso nell'attesa del ritorno. Senti nell'aria l'odore dell'assente...
Un'esperienza da brivido, che ti fa credere all'esistenza dei fantasmi.
Forse, i fantasmi sono persone che aspettano di tornare con più forza degli altri.

Chiudo con un ricordo.
La mia amica Lorella di Roma lavora in un istituto di assistenza a persone con handicap di vario genere.
Parlava dei ragazzini down, anni fa, e della voglia matta che hanno di fidanzarsi.
"Bisogna aspettare!" diceva lei, per tenerli buoni.
"Ma aspettare cosa? Aspettare quanto?", chiedevano loro.
"E che ne so, io?" ribatteva Lorella. "Vedete me, che ho cinquant'anni, e ancora sto aspettando..."



Con questo - so che non aspettavate altro - vi auguro


Buona settimana!

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