lunedì 23 marzo 2015

23 marzo 2015 - Murmuration

I giorni scorsi erano perfetti.
Adesso ci sono già un po' troppe gemme - la situazione cambia di minuto in minuto. 
Ma fino all'altroieri, solo rami spogli che offrono una visibilità perfetta.



Tra i rami, gli uccelli.
Uccelli che con la nuova primavera sono più vivaci, più felici. Sembrano più numerosi, persino.
Di certo, sono tornati a farsi vedere i merli, dopo un periodo di quiescenza.
E quando i merli saltellano tra i rami spogli, sembrano gli occhi degli alberi, la loro lingua, il loro cervello.



Gli uccelli che saltellano tra i rami - o che stanno appollaiati sui cavi della luce, o che attraversano la strada, oppure sfrecciano nel cielo - a me sembrano portatori di senso. Li vedo come note su un pentagramma - ma io non so leggere la musica. Mi ricordano le lettere di un alfabeto che non conosco. Sono i simboli misteriosi del futuro.
Forse questo dipende dal fatto che discendo dagli antichi Romani? 
I Romani erano ornitomanti provetti, e prima di andare in battaglia osservavano le galline becchettare il becchime. Mangiavano di gusto? Vittoria sicura.

Si accontentavano di poco, i Romani. 
Osservare le galline? Mah...

Io, quando capita, rimango senza parole a guardare il murmuring - o murmuration - degli storni.


Non credo che ci sia un termine italiano per murmuration, ma mi piace che sia così. 
Mi sembra giusto che quello che ci dicono gli storni sia intraducibile.
Possiamo noi conoscere il nostro futuro? Possiamo nominarlo?
Certamente no.

Dunque, io mi limito a raccontarvi due storie, al proposito. Forse tre.

La prima l'ho scritta io, tanti anni fa.

Gli storni
Era stata zia Monica a metterla sulla buona strada, tanti e tanti anni prima.
Sara ricordava un pomeriggio d’estate nel giardino della sua villa, dove spesso era invitata a giocare e a fare il bagno in piscina con i cugini, e la zia che diceva, stesa su una sdraio al sole, col dito puntato verso un merlo fermo nell’erba:
“Guarda com’è bello, quel becco giallo! Io li trovo simpaticissimi, e poi sono di buon augurio: se te li vedi nel giardino di casa, portano soldi!”
Col tempo, Sara ebbe modo di verificare che la zia non si sbagliava. Ogni volta che vedeva saltellare quei begli uccelli neri nel cortile della casa in cui viveva, le arrivavano dei soldi in tasca, che si trattasse di una banconota trovata su un marciapiede, o di una scommessa vinta, o di un’eredità.
In effetti, con l’aumentare dell’età e delle esperienze, le sue osservazioni la portarono a concludere che i merli non erano gli unici uccelli dotati di questi poteri incantatori. Se sulla sua strada le capitava che dei passeri si lasciassero avvicinare più del consueto, ad esempio, erano i suoi rapporti interpersonali a trarne giovamento: un vecchio amico la chiamava, incontrava una collega simpatica che la invitava a una festa, le arrivava una lettera.
Purtroppo, esistevano anche gli uccelli del malaugurio. Una sera in cui sedeva tranquilla al suo tavolo di cucina, sgranocchiando un cioccolatino alle nocciole, davanti al balcone aperto passò in volo un gruppo di cornacchie che gracchiavano a più non posso, e proprio in quel momento a lei si spaccò un molare. Non poteva essere un caso…
Unica eccezione: i grigi, ottusi, noiosissimi piccioni. Per quanto Sara si concentrasse con zelo galileiano nell’osservazione del reale, la conclusione poteva essere solo una: i piccioni non avevano nessunissimo potere, se non quello di sporcare e dare ai nervi con il loro tubare insulso.
La visione di un documentario alla televisione, infine, le aprì gli occhi, spalancando davanti a lei una nuova, infinita prospettiva di indagine.
Il programma era dedicato agli antichi etruschi. Il conduttore, dopo aver fornito notizie risapute e di scarso interesse, quali il mistero delle origini e della lingua, l’area di diffusione e simili, disse qualcosa di illuminante in merito all’arte divinatoria: gli etruschi leggevano il futuro nel volo degli uccelli.
“Che idiota! Ma che perfetta idiota sono!”, si disse la donna, battendosi la fronte con la mano. “Come potevo pensare che fossero i merli a portare i soldi, o i corvi le disgrazie? Cosa può fare un uccello per determinare il tuo futuro? Niente! Assolutamente niente! I loro poteri non sono così forti! Però, che ci siano dei legami tra la loro apparizione e quel che accade è innegabile. Avevano ragione loro, i nostri padri. Non per niente gli antichi etruschi, nel passato, hanno trasmesso a noi romani i tesori della loro saggezza…”
Quando poi fece caso a un enorme stormo di uccelli che volteggiava nel cielo, felice, riempiendo la sera d’estate di richiami, assumendo repentinamente le forme più diverse e affascinanti, capì che se passeri e merli erano specializzati in settori specifici della vita, quali le relazioni umane e le finanze, i soli depositari dei segreti del futuro, per intero, non potevano essere che loro: gli storni.
E lei si sarebbe fatta aruspice.

Sara si dedicò anima e corpo alla messa a punto del suo metodo di interpretazione, nel quale vennero a confluire contributi di natura varia e impensabile.
Per prima cosa, come è logico, lesse tutto quello che era stato scritto sugli Etruschi, e in particolare sull’arte divinatoria come era intesa presso di loro. In seguito, si impossessò delle varianti introdotte dai maghi romani, che ne erano i diretti discendenti.
Poiché riteneva che trascurare gli aspetti tecnici avrebbe comportato una grave lacuna nella sua formazione, imparò pressoché a memoria le osservazioni sul volo degli uccelli contenute nel Codice Atlantico di Leonardo, e cercò di familiarizzare con le basi dell’ingegneria aeronautica.
Su una bancarella dell’usato scovò il saggio “Le Figure della Mente: la Lettura dei Tarocchi tra Futuro e Psiche”, di un certo Saro de Dominicis, e fu un vero colpo di fortuna, perché questo testo le aprì nuovi orizzonti. Oltre ai principi di base della moderna cartomanzia, confluirono nel suo sistema anche le teorie e le tecniche psicoanalitiche da lei ritenute più pertinenti: Jung più di Freud, senza dubbio, poi il metodo di interpretazione delle macchie secondo Rohrschach, e altro ancora.
Per acquisire una certa qual coscienza di classe, e la gravità di spirito che l’esercizio del suo ruolo richiedeva, lesse tutti gli studi sulla caccia alle streghe di cui riuscì a entrare in possesso, e numerosi verbali dei relativi processi.
Nel corso del tempo, la cultura di Sara si fece vastissima e bizzarra. La donna riempì la propria casa di libri, e innumerevoli quaderni di appunti e formule segrete. Passarono anni e anni, prima che Sara si sentisse pronta a svelare i segreti che gli uccelli custodivano sulle sorti umane.
Infine, una sera d’estate, quando il cielo aveva appena iniziato a incupirsi, lasciò libri e appunti sul tavolo della cucina, alle sue spalle, e uscì sul balcone a interpretare il volo degli storni per la prima volta.
Appena si fu affacciata, emozionantissima, gli uccelli si levarono dai tetti e dagli alberi su cui erano posati, come ad un segnale convenuto, e in formazione compatta le passarono davanti agli occhi con grande strepito di ali battute e penne, per tornare a posarsi subito dopo.
“Da sinistra verso destra”, assentì Sara col capo, “È un segno favorevole, vuol dire che mi han visto, salutano, e hanno intenzione di dire il vero.”
Di nuovo gli storni si alzarono in volo, si allontanarono da lei e poi, riuniti a punta di freccia, si gettarono in picchiata nella sua direzione per tre volte, virando verso il cielo all’ultimo istante.
“Me! Puntano a me. Sono io, quella di cui vogliono parlare. O di qualcosa di mio. In ogni caso, il discorso ha a che fare con me, l’indovina…”
Appena lo ebbe pensato, gli uccelli cambiaron figura.
Assunse lo stormo una forma di calice viva, vibrante, dai bordi superiori sfrangiati. Gruppi di due, tre uccelli se ne staccavano a tratti, fuggendo più in alto, volteggiando a spirale.
“Sembrano quasi scintille…”, li osservava ad occhi socchiusi la donna, pensando. “Ho capito!”, si disse infine trionfante, “È il fuoco! Mi parlan del fuoco! O di un grande calore…”
Ad un cenno del capo di Sara, gli storni passarono ad altro.
Proprio al di sopra del tetto di fronte, si disposero contro il cielo sempre più scuro in file ora lunghe, ora brevi, parallele all’orizzonte o impennate, che si intersecavano a tratti, e mantennero la posizione per qualche secondo, come trattenendo il respiro, per poi ritornare sugli spioventi coperti di tegole rosse.
Gli storni ripeterono la stessa figura due volte. Infine, non si levarono più in volo.
Sara li guardava a bocca aperta, perplessa. “Non ho capito niente…” mormorò, delusa di sé. “Forse mi sono sopravvalutata, avevo torto, non ce la farò mai a interpretare…”
Quindi, come per miracolo, da un angolo oscuro della sua mente ritornò a farsi vivo il ricordo, dapprima confuso, poi sempre più definito, di un pomeriggio trascorso con sua cugina Fulvia, la figlia di zia Monica, sempre nel giardino della villa. Sara si mise una mano sugli occhi e rivide tutto.
Fulvia studiava il cinese. Aperto un libro dalla copertina rossa le mostrava un disegno dicendo: “È difficilissimo. Per imparare questo ho impiegato una mezza giornata… È l’ideogramma che indica…”
“Casa!” urlò Sara, entusiasta, battendo le mani di gioia, “Vuol dire ‘casa’!”
Gli storni si alzarono in volo, come se qualcosa li avesse spaventati. Si spostarono diversi tetti più in là.
“Dunque, vediamo…”, si disse infine la donna, “Qual è il senso generale?”
E puntando le dita di una mano sul palmo dell’altra, come se stesse contando, ragionava: “Tu, caldo, casa… Io ho una casa calda? No, non ha senso. Tuo, fuoco, casa… Tua, casa, fuoco… Tua casa, incendio…”
Sara sbiancò in volto, si girò atterrita verso la cucina, e vide che le fiamme avevano già divorato tutti i mobili, i suoi libri e i suoi appunti erano andati in fumo, le pareti quasi non si vedevano più, sostituite da alti muri di fuoco crepitante.
“La mia casa sta bruciando!”, gridò.
Miracolosamente, era rimasto libero uno stretto percorso che andava dal balcone fino alla porta di casa. Sara trattenne il respiro, perché il fumo la stringeva alla gola, e vi si gettò come folle, mentre le fiamme si richiudevano dietro di lei ad ogni passo. Ustionandosi le mani sul metallo della maniglia riuscì ad aprire la porta, si precipitò nell’atrio che stava per crollare, per un soffio raggiunse le scale antincendio e le percorse a capofitto, urlando dal terrore, infine si ritrovò in salvo, per strada, sotto gli occhi di una folla di curiosi tenuti a distanza dai pompieri, tra le autocisterne e le ambulanze.
La donna si accasciò sull’asfalto con un sospiro, e prima di perdere conoscenza intravide uno stormo di uccelli che volava alto nel cielo scuro, volteggiando felice, riempiendo la sera d’estate di richiami…

E questa è la storia di Sara, che ebbe la vita salvata dagli storni.  


Una mia amica mi aveva raccontato che la figlia di pochi anni - due? Tre? - intorno al giorno del suo compleanno si era emozionata tantissimo vedendo degli storni impazzare intorno a un albero vicino alla sua finestra.
"Mamma, dove sono andati quegli uccelli?", aveva chiesto alla madre la sera dopo, davanti all'albero disabitato. 
"Eh, sono volati in un altro paese più caldo..." 
"E quando ritornano?"
"Tornano per il tuo prossimo compleanno!".
Un anno dopo, senza averne più fatto parola nel corso dei mesi, il giorno del suo compleanno la piccola è andata alla finestra a guardare l'albero.
"Mamma, ma quando arrivano gli uccelli?"

Piccola aruspice...!

Intorno al mio palazzo, in queste sere hanno ripreso a volare i pipistrelli. Devono avere la tana sotto il nostro tetto.
Per lo meno, eliminano un po' di zanzare.
Anni fa, quando ero giovane e avevo i gatti,



un pipistrello mi è entrato in sala dalla finestra aperta.
I mici si sono precipitati a guardarlo. Non stavano più nella pelliccia dalla voglia di catturarlo, hanno cominciato a fare salti indiavolati per la stanza... Ma il pipistrello è scappato via prima di lasciarsi brancare dai loro artigli
La sera dopo, alla stessa ora, puntuali, i miei gatti si sono presentati in sala, a guardare il soffitto pieni di aspettativa.

Forse i pipistrelli raccontano ai gatti il loro futuro.
Un pipistrello, d'altronde, è un topo con le ali.


Buona settimana!



Silvana

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