lunedì 2 marzo 2015

2 marzo 2015 - Chiudere gli occhi

Ieri dopo pranzo ho fatto il bagno.
Era un bel pomeriggio di sole. Il mio angolino rannicchiato di mezza vasca era luminoso.


Stavo ascoltando questo brano di Vivaldi.


All'improvviso, per un secondo la luce è andata via.
Come se il sole si fosse spento e riacceso di colpo.
Come se il sole fosse un'abat-jour.


​La mia abat-jour

Io ho pensato: "Dio ha chiuso gli occhi".
Poi, sentendo un lontano ronzio, ho capito che la mia casa era caduta nel raggio d'ombra di un aeroplano.


In una frazione di secondo ho ribaltato il punto di vista, mi sono immaginata lassù in alto, mentre passo sopra il mio palazzo, e lo vedo minuscolo, e vedo l'ombra del mio aeroplano che fa ombra sotto di me.

(qui sotto, un ribaltamento di punto di vista geniale e molto commovente)


Ho pensato che forse in quel momento il pilota ha chiuso gli occhi.
O forse è stata una ragazza a chiuderli, una ragazza che andava a vivere a Londra, e ha già un contratto di lavoro come cameriera, nel locale di un suo amico, e sogna di partire da lì per conquistare il mondo.
Per conquistare il suo mondo.

Scusatemi, in realtà avevo pensato altre cose più articolate, ma oggi ho l'influenza (forse ieri ho fatto male a fare il bagno) e basta così.
Buona guarigione a me.


A voi, buona settimana!


Silvana



P.S.: Qui sotto, una cosa che ho scritto una decina di anni fa, dolciastra e ingenua, ma abbastanza in tema.


La stella

Jacopo era un bambino malato.
E non intendo “malato” come ogni tanto capita a ognuno di noi, quando abbiamo la febbre o il mal di pancia.
Jacopo doveva rimanere sempre a letto, a casa o all’ospedale. Non poteva andare a scuola, né tanto meno poteva giocare con gli altri bambini, né in cortile, né per strada, né al campo da calcio.
Un giorno, gli dicevano, sarebbe guarito, ma per ora era così.
E lui si sentiva solo.
In realtà, la compagnia non gli mancava, era circondato da gente che gli voleva bene. I suoi genitori erano sempre con lui, sorridenti e solleciti, soprattutto la mamma, e così anche i nonni e gli zii. I suoi cuginetti venivano spesso a trovarlo per giocare alle figurine, o guardare i cartoni animati insieme; tutto quello che potevano fare con Jacopo lo facevano. C’erano anche altri bambini che venivano a casa sua per stare con lui, vicini di casa o figli di amici dei genitori. Insomma, Jacopo era un bambino molto amato.
Eppure, la sera tardi, quando tutti dormivano, c’era un momento in cui lui si svegliava, sentiva un grande silenzio, vedeva che nella stanza e oltre la finestra era tutto buio, e sentiva un peso dentro che, lo sapeva, non avrebbe potuto condividere con nessuno. Jacopo la chiamava solitudine.
Ma una notte, mentre aguzzava lo sguardo nel cielo nero, sforzandosi di non piangere, vide un puntino luminoso brillare lontano e attraversare una fetta di cielo, descrivendo una curva come una mano che saluta, e pensò:
“E’ una stella! E’ la mia stella! Si muove per farsi vedere, per venirmi vicino e parlarmi…”.
Jacopo si addormentò subito, tranquillo.
E tutte le notti seguenti, per molto tempo, vide la sua stella, e si sentì meno solo.

Il comandante Andrea Volturno, primo pilota del volo Milano – Roma delle 23.45, subito dopo il decollo inseriva il pilota automatico e pensava sempre le stesse cose.
Pensava: “Ecco, credevo di diventare chissà cosa e invece sono qui, come un qualsiasi pendolare, sempre sullo stesso aereo, a fare sempre la stessa rotta. Io e mia moglie non ci vogliamo più bene, i miei figli non mi sopportano, i miei genitori non mi hanno mai capito, non sono mai stati fieri di me. La mia vita non ha senso. Ma perché sono nato?”
E’ un peccato, non sapeva di essere a bordo di una stella.
Non sapeva di essere alla guida della stella di Jacopo.

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