lunedì 15 giugno 2015

15 giugno 2015 - Biennale di Venezia

Ci sono date ricorrenti che ci spingono a fare bilanci.
Il Natale, ad esempio.
Chi c'era l'anno scorso, a Natale, che ora non c'è più? Oppure: cosa sono diventata, che non ero gli anni scorsi?
E a ogni compleanno: sono sempre più vecchia - e cos'ho ottenuto dalla vita? Rispetto ai sogni che avevo da bambina, che cosa si è avverato?

Ma in fondo, che cosa indica una data?
Che la Terra, girando intorno al Sole, si ritrova in un punto preciso dell'universo. Sempre quello.
L'indicazione di tempo, in realtà, è un'indicazione di spazio.

Allo stesso modo, certi luoghi cui periodicamente ritorniamo ci spingono a considerare il tempo che passa, e quello che ci fa il tempo, passandoci addosso.
Per me uno di questi luoghi è Venezia, in occasione della Biennale.
La scuola d'arte che frequento organizza sempre la visita di gruppo, e generalmente io mi accodo.

Non sono esperta, meno che mai di arte contemporanea.


Semplicemente, cerco di vedere cose che mi piacciono.
L'arte contemporanea è libera da severi canoni compositivi e dalla forzata ricerca del bello. Se in molti casi può lasciarmi assai perplessa, altre volte l'apprezzo perché la trovo particolarmente creativa, ludica e, in un certo qual senso, divertente.
Un esempio dalla mostra in corso: questa è una macchina che, ruotando, da una parte stampa le costellazioni sulla sabbia, dall'altra le cancella.



Una sintesi geniale e poetica delle due forze - creazione e distruzione - che regolano l'universo.
Un dettaglio: la parte che cancella le stelle è a forma di zoccolo di cavallo. 




Crediti​


Una visione che risveglia ricordi ancestrali di pogrom cosacchi e attacchi all'arma bianca di barbari invasori.
Il solo pensiero mi fa accapponare la pelle.
All'estremo opposto del gradimento, le opere del padiglione inglese.


Opera di Sarah Lucas
E dire che la scorsa edizione c'era, proprio qui, un bel giovine dall'aria di grifone pazzo, che offriva cortese e risoluto una tazza di tè a tutti i visitatori.
Altri tempi...

E dunque, come dicevo all'inizio, vi propongo un breve excursus delle mie Biennali, che mi offrirà il pretesto di raccontare cosa sia cambiato in me negli ultimi 15 anni.

Biennale del 2001 circa: nel gruppo c'è anche mia sorella.
Mia sorella insiste a ogni piè sospinto perché le scatti delle foto tra le opere d'arte, ma tendenzialmente evita di fotografare me.
Anche perché non approva il vestito scollato che indosso, a suo dire osceno, che mi rende molto donnaccia.
In quest'occasione, gli atti tirannici di mia sorella mi rimbalzano.
Ho appena vinto il concorsone per l'insegnamento, stanno per chiamarmi come docente di ruolo di inglese, ho un futuro migliore davanti a me, zeppo di promesse.
Di quell'anno ricordo il padiglione polacco, vuoto, se non per il rivestimento a listarelle verticali del pavimento.
I lati di sinistra delle listarelle sono arancioni. Quelli opposti, blu.
A seconda del punto di vista, cambia l'aspetto del mondo.
Una lezione per la vita.


​Eccomi, a sinistra, in versione donnaccia. Mia sorella a destra


In seguito, l'esordio della mia esperienza come professoressa si rivelerà problematico.
Mia madre mi convince ad abbandonare.
Un fallimento e un rimpianto che non ho mai superato.
Costruzione e distruzione.

Biennale del 2007 circa: vado col mio ex.
Sono felice e serena: penso di non essere più sola, mi sembra di condividere tante cose belle.


​"Faccia di culo", di Silvana D'Angelo


In realtà, quella persona non mi ha mai voluto bene. Mi ha tradito dal primo giorno. Pur di tradirmi ha persino pagato. Eccetera eccetera eccetera.
La mia interpretazione finale: gli servivo per vivere a cinque minuti dal luogo di lavoro, per intascare in nero e interamente l'affitto del suo appartamento, e per altri motivazioni irripetibili.
Costruzione e, soprattutto, distruzione.

Biennale del 2013: sono sola col gruppo.
Quella persona mi ha abbandonato da relativamente poco.
Mi sto ricostruendo pezzo dopo pezzo. Cerco stimoli, cose nuove da fare.
Guarda come sono brava a reimparare a vivere – mi dico.
Ogni volta che vedo una cosa bella e divertente, me la godo.


​Padiglione dei pesi nordici: bastano uno specchio sopra e uno sotto per fare foto divertentissime - anche alle mutande della maestra!


E in effetti, la Biennale scorsa è stata notevole.
Notevole.


​Opera di Ellen Altfest.  Ne ho già parlato qui


E io pensavo che, dopo essermi ripresa del tutto, mi aspettasse un altro bel pezzo di vita.


Biennale del 2015.
Vado da sola - da sola col gruppo, naturalmente.
Mi ritrovo ad affrontare la disillusione esistenziale.
Le opere sono tristi, disperate.
Il tema è “Tutti i futuri del mondo" ma, come dice Cinzia, la mia prof. di ceramica, pare che agli artisti sia venuto in mente solo il catalogo delle cose scomparse. Un riassunto del passato dell'umanità.
Nessuno si è proiettato in avanti.
Nessuno ha pensato a mondi possibili.
L'unico mondo possibile era questo, il nostro – ed ormai lo stiamo perdendo.
Personalmente, non ho mai visto una Biennale più triste.
Anche perché il mio stato d'animo attuale è esattamente questo: basta illusioni professionali, basta illusioni affettive, o false speranza su me stessa.
Mi rimangono solo i nudi nomi del passato.
Con questo bagaglio dovrò affrontare i prossimi giorni.

​Padiglione olandese: le falci hanno distrutto tutto il falciabile, restano solo i nomi delle cose, nel libro sulla destra.



Una curiosità: dopo il vestito che ho dimenticato di comprarmi a Vilnius, anche in questa occasione mi lascio alle spalle un indumento rosso che, pur piacendomi, lascio a Venezia.
Mi aveva colpito questa maglietta in vendita nel bookshop


​All the world's futures


Mi era sembrata una bella divisa da Wonder Woman quotidiana.
In realtà, a un esame più approfondito il capetto si è rivelato una banale t-shirt di cotonino leggero stampato, che di certo non valeva i 20 euro richiesti.
Non mi piace sentirmi imbrogliata, e l'ho lasciata lì.

In compenso, ho preso un sacco ma un sacco di pioggia.


​Dal traghetto


Per non chiudere su note troppo desolate, vi mostro l'opera che ha vinto, nel mio cuore:





Crediti


Viviamo per un'idea.
Ci danniamo per avere una buona idea.
Diventiamo eterni quando regaliamo agli altri un momento di gioia e di bellezza.
Se andate alla Biennale, non perdetevi il padiglione giapponese, ai Giardini.


Buona settimana!

Silvana

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