lunedì 10 agosto 2015

10 agosto 2015 - Luoghi comuni

Quando ero all'università, mi capitava di attaccar bottone con altri studenti chiedendo sempre le stesse cose.
A che anno sei? Quanti esami ti mancano? E il tale esame l'hai dato? In quanto tempo si prepara? Com'è il professore?


Cose così.

Finita l'università, sono andata all'estero per qualche tempo.
Non propriamente in viaggio di piacere: per essere indipendente dai miei genitori, sono andata a fare l'au-pair a Londra, in una zona densamente popolata da ragazze alla pari.



Anche in questo caso, era molto facile entrare in contatto con le altre. Tendenzialmente ci si chiedeva: Com'è la tua famiglia? Abiti lontano? Devi lavorare molto? E ti danno da mangiare?
Potrei fare il ciclostile di un questionario, pensavo io, e distribuirlo ogni volta che vedo delle facce nuove.

Il ciclostile... Letteralmente, roba del secolo scorso!

Adesso siamo nel XXI secolo, ma ancora sussistono le situazioni che vivono quasi di vita propria, imponendoci domande, risposte e commenti vari.
Forse potrei definirle "luoghi comuni"'

Un luogo comune è una cosa che tutti dicono.
Ma in origine è un luogo aperto a tutti, dove chiunque si trova a passare.
Ad esempio: l'ascensore.

Cosa si fa quando si incontra un vicino in ascensore?
Se non lo conosci bene, guardi su. Guardi giù. Mastichi un saluto.
Tipicamente, parli del tempo. Anche se non sei inglese.
Vi sembra banale?
Certo, alla vecchietta che è appena rimasta vedova si può domandare: "E l'ultima volta che ha fatto l'amore con suo marito, è stata bella?". Oppure, al tipo sempre ingrugnito che non saluta mai puoi chiedere: "Il suo più antico ricordo di bambino qual è?". E alla giovane coppia con figli: "A fine mese ci arrivate senza problemi? Quanto dovete farvi dare dai vostri genitori?". 
Ma io preferisco parlare della buona vecchia pioggia che ci vuole pure lei, del lungo duro inverno che non finisce mai, del caldo insopportabile.

Ecco: il caldo.
Questo enorme, pluridimensionale luogo comune che ci accomuna in un'immensa traspirazione, internazionale e appiccicaticcia.
Il sudore: un luogo generalizzato in cui tutti ci rigiriamo come maiali, un'estate ogni tanto.

Di questo caldo diciamo più o meno tutti le stesse cose.
"E' come il 2003". "E' l'effetto serra. Siamo alla fine del mondo". "Io riesco solo a stendermi boccheggiante sul divano, poi chi si è visto si è visto".


Però, attenzione: più o meno. 
A me di tanto in tanto capita di sentire un'opinione che trovo originale.
Una signora nella sala d'attesa del medico, ad esempio, mi ha detto che in città fa più caldo per via dello scarico dei condizionatori, che buttan dentro il freddo ma di fuori buttan caldo.
Io non ci avevo ancora mai pensato.
E un'amica che non sentivo da tempo, l'altro giorno, mi fa: "Ma il caldo c'è sempre stato, solo che adesso, con tutti questi condizionatori, ci siamo fatti delicati e non lo sopportiamo più. Passi tutto il giorno dal freddo al caldo, dal freddo al caldo, dal freddo al caldo. E certo che il caldo, a un certo punto, non lo reggi più!".
Sulla stessa scia, un collega che amava leggere di storia mi diceva: "Una volta nessuno si lamentava del caldo perché eran tutti poveracci, e d'inverno pativan tanto freddo che semplicemente, d'estate, non gli sembrava vero! Anzi, facevano la scorta per dopo".

Anche le cucine sono luoghi comuni.
Mediamente, se hai una casa, nella casa c'è una cucina. 
Nei palazzi, le vedi una sull'altra, in lunghe file verticali. E dentro, tutte hanno tavoli sedie armadietti fornelli forni eccetera.

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​Palazzone di Malaga

Una volta mi piaceva guardare le cucine illuminate dall'altra parte della strada, la sera, e vedere i gesti degli altri, a ora di cena. 
Cucinare, apparecchiare, mangiare, sparecchiare...
"Ma è spaventoso! Voglio scappare, non voglio farmi fagocitare!" diceva una specie di fidanzato che avevo allora, che infatti è scappato via - adieu.

Solo che quella sera lui non mi ha capito bene. Oppure io non mi sono spiegata.
O forse, semplicemente, io e lui eravamo diversi.
Perché nelle cucine infilate una sull'altra a me piaceva notare come fossero tutte diverse. 

Mi diceva Dafna, la signora da cui ho fatto l'au-pair la seconda volta che sono andata a Londra: "E' incredibile: in fondo in fondo ci sono solo due o tre marche di vestiti per bambini, a Londra, e nei negozi trovi sempre gli stessi vestiti. Ma ai giardinetti non incontri mai due bimbi vestiti allo stesso modo."

Immagine da Google

Il luogo comune non riesce mai ad essere comune fino in fondo.


Buona settimana!


Silvana

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