lunedì 25 dicembre 2017

25 dicembre 2017 - Tre coincidenze

Io non so cosa sia la fortuna.

Una mattina sono uscita di casa con la strana sensazione che avrei passato una giornata molto propizia.
Arrivata all'incrocio sotto casa, in sella alla mia bicicletta, mi sono fermata per cedere la strada a una macchina.
Questa macchina è passata sopra un sasso piuttosto grosso e l'ha sparato con violenza nella mia direzione.
Il sasso è andato a sbattere da qualche parte, a pochi metri da me. Avrebbe potuto colpirmi in testa e uccidermi. E sì, sono stata piuttosto fortunata.

Quindi, come mi insegna l'esperienza, io posso sperare di evitare guai peggiori grazie al caso, ma una vincita al lotto, un ritrovamento di preziosi lungo i marciapiedi, un'offerta di lavoro inattesa, un colpo di fulmine, essere simpatica ai capi, o altri colpi di culo di questo genere - come direbbe Petrarca - no, non sono nelle mie stelle.

Con poche, piccole eccezioni.
Di cui ora vi narrerò la prima:

Quando ero al liceo, mi sono innamorata tantissimo del mio professore di inglese.
Grazie a lui anch'io - sempre sola come un cane sin dall'inizio - ho vissuto l'esperienza dei batticuori, dei sogni color di rosa, della speranza nel futuro.
Boris era molto più grande di me - e anche più alto... Svettava oltre i 2 metri. Aveva un sorriso comunicativo e incompleto, una frangia lunga e liscia che gli ricadeva continuamente sugli occhi, l'umorismo British.
Contro ogni logica, non ho smesso di pensargli fino ai tempi dell'università, quando sono andata a Londra a cercarlo, l'ho invitato fuori e... non è successo niente. Lui per la sua strada, una volta per sempre, e io per la mia.
Ma prima di quell'ultimo episodio c'era stato il penultimo.
Alla fine del liceo sono andata un paio di mesi a Londra, come ragazza au-pair.
Ebbene, appena sbarcata, appena arrivata a casa degli aguzzini cui ho lavato il cesso per giorni e giorni, appena svuotata la valigia faccio un giro per Edgware, la cittadina dove abitavo, e incontro un'altra ragazza alla pari. Facevamo amicizia molto facilmente, tutte giovinette nelle stesse condizioni, e quella - di cui non ricordo minimamente né la faccia, né il nome - subito mi fa: devo andare in centro a cercare un corso di inglese. Vieni con me allo Speak and Span Institute?
Certo, dico io.
Ed ecco che nel giro di un'oretta, appena sbarcata nella capitale dell'impero linguistico moderno, entro nella scuola di cui sopra e mi ritrovo davanti l'altissimo Boris.
Apriti cuore.

Seconda eccezione:

Qualche anno più tardi, neolaureata in lingue, cercavo un lavoro che avesse a che fare col russo.
Non so come, arrivo a fare una prova di conoscenza dell'idioma in una minuscola impresa che trafficava col Paesone che si era appena lasciato il comunismo alle spalle, in vista di un'assunzione.
Sono in un ufficetto dalle parti di via Turati, seduta di fronte a un ottuagenario alto e secco in completo nero, che sembrava appena uscito dal Canto di Natale di Dickens, giusto per rimanere in tema.
"Mi vuole tradurre la prima pagina della Pravda?", mi fa lui. E certo.
Prendo la Pravda in mano, ed è molto mal stampata. Non si vede un fico secco. Dirglielo, però, sarebbe sembrato una sciocca scusa per coprire la mia fondamentale ignoranza.
In quella, squilla un telefono in una sala accanto.
Ebenezer Scrooge si allontana per rispondere.
Io afferro la traduzione italiana con cui lui mi avrebbe controllato (se sapeva il russo, non cercava una persona per le traduzioni, è logico), e in men che non si dica leggo tutto.
Lui mette giù la cornetta. La prova ricomincia. Io, rinfrancata dalla lettura del testo nella mia lingua, vado spedita come un treno, e vinco due settimane di prova come impiegata con conoscenza di lingue.
L'esperienza in quella ditta, in seguito, è stata orribile. Ricordo che a un certo punto ricevo una telefonata, qualcuno mi chiede: "Come va?" e io, convinta di parlare con una collega, rispondo alla capa: "Mi sto davvero rompendo le scatole, quest posto è tremendo".
Perdere un lavoro forse è più facile che trovarlo - soprattutto se quel lavoro ti repelle.
Però, quella telefonata provvidenziale nel bel mezzo del colloquio, io l'ho apprezzata molto.

Terza eccezione:

Qualche giorno fa vado dalla parrucchiera sotto casa. Quella che mi piace, coi capelli rossi, tanto dolce, che vorrebbe andare a vivere al mare con un cane (e il marito, immagino).
Non devo farmi tagliare i capelli, ma voglio regalare un coupon natalizio a mia sorella.
Sbrigo tutto con la padrona del negozio, che nell'occasione è simpatica, disponibile, mi fa il coupon, il pacchettino, mi saluta mi fa gli auguri, io mi giro e me ne vo.
Esco, e quasi vado a sbattere - indovinate in chi?
Ma sì, proprio lei: mia sorella!
Che. evidentemente, è andata dalla stessa parrucchiera per la mia stessa, speculare ragione.
E scoppiamo a ridere, molto nataliziamente.

Queste sono state le mie coincidenze fortuite, nella vita.
Mi hanno fatto riincontrare un grande sogno con cui non è successo niente.
Mi hanno fatto trovare un lavoro che ricordo come un incubo.

E incontrare mia sorella dal parrucchiere.

Lei, però, a me di coupon- dono ne ha regalati tre.
E' o non è una fortuna avere una sorella così?

Buon Natale! E, naturalmente,


Buona settimana!


Silvana




(niente video, foto o canzoncine, questa volta: ve ne ho già mandati troppi su whatsapp)

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