lunedì 1 dicembre 2014

1 dicembre 2014 - A. & a.

Qualche giorno fa, andavo tranquillamente al lavoro attraversando il parco, quando ho visto davanti a me una figura familiare.

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Mi era familiare in tutto: figura, stile, biondezza illuminata dal sole, prestanza e velocità del passo.
In tutto e per tutto, la mia amica-sorella Giulia, di Torino.
Che, giustappunto, in quel momento era a Torino.
E però, a vederla avanti a me per un tratto così lungo di parco, mi sono sentita protetta, accompagnata, e per così dire anche consolata.
E' stato molto bello.

Un paio di giorni dopo, la mia amica-ceramista Patrizia mi regala una bellissima scatola di fiammiferi.
E' giusto che sia stata lei a regalarmeli - Patrizia, che è calda ed estroversa come una fiamma.
Ecco l'immagine



E mi torna in mente quando cammino lungo i muri, in campagna: sento rumori di lucertoline invisibili  - o magari sono topi, o serpi velenose, chi lo sa - che scappano frusciando nell'erba, spaventate dai miei passi. 
Se fossi una donna medievale, o avessi una mente celtico-irlandese, potrei pensare che si tratti di fate e elfi.


Un'immagine delle fate di Cottingley

Forse è così che è nata la credenza che ci siano i troll: una gazza ti ruba un anello d'oro, e tu pensi al dispetto di uno gnomo.
Ma se la nostra testa produce l'idea di una fata, si può dire davvero che le fate non esistano?


...e invece è proprio una pipa! Cos'altro sarebbe, sennò? Un tonno?

La settimana scorsa, ho vissuto uno dei miei periodi ciclistici più pericolosi, sulle strade della grande città.
Sei o sette volte di seguito, nel corso di una sola giornata, ho scansato automobili che non mi vedevano, mentre facevano manovra e uscivano dai parcheggi.
Io spero che mi vada sempre così.
Incrociamo le dita.
I casi sono due: o ho avuto fortuna, o il mio angelo custode è stato molto bravo.

Forse, anche gli angeli sono solo una visione allegorica: l'immagine dei  nostri amici.
La metafora divina delle persone più care che abbiamo sulla terra.

Agli angeli, c'è chi crede e chi no.
Io spero che esistano davvero, così magari continuano a salvarmi la vita - in bicicletta e giù dalla bicicletta.

Perché il mio angelo custode è mio amico.
E le mie amiche sono i miei angeli.



Una menzione speciale per la mia amica e guida spirituale Margherita, grazie alla quale ho scoperto i nomi dei miei angeli.
Essi si chiamano: Berh, Umku, Vavao, Gepp, Doi, Runrun, Babo, Nantia, Gado, Lurr, Niblo e Dao. Belli, neh?
(Non è vero, non si chiamano così, ma i loro nomi sono molto simili... Non mi sembrava bello rendere pubblica la loro identità. In fondo, i nomi dei tuoi angeli sono cose molto intime...).

Per rimanere in tema: tempo fa passavo per questa via

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e mi dicevo: Anch'io vorrei chiamarmi così! Avrei un angelo nel cognome, sarebbe bellissimo...
Dal che si capisce che a volte non so più chi sono.

Inoltre, un bonus in regalo: uno dei primi racconti che ho scritto, ormai una decina di anni fa.

La pizza
Eugenio non aveva mai mangiato la pizza in vita sua. Neanche una fettina, neanche un pezzettino piccolo piccolo, neanche una briciola. Non l’aveva mai quasi neanche annusata.
Non che fosse una sua scelta, anzi: sin da bambino aveva bramato con tutte le sue forze il momento in cui avrebbe messo in bocca un sottile strato di pasta fragrante, ben condito con olio pomodoro e mozzarella, ma per una serie di circostanze non era mai riuscito a realizzare questo sogno.
Quando era piccolo, ad esempio, se suo padre diceva a sua madre “Stasera non cucinare, Maria, che usciamo a comprarci un bel trancio di margherita!”, si poteva star certi che avrebbero trovato il forno chiuso per malattia o per lutto.
Se sulla spiaggia vedevano avvicinarsi l’ambulante che gridava “Pizza! Pizza bella! Bianca, rossa e verde, comprate la pizza, oh!” e lui e suo fratello ne chiedevano ai genitori, la madre rispondeva “No! Oppure, alle quattro non andate a fare il bagno, perché sarete in piena digestione. Scegliete: o la pizza, o il mare.” E suo fratello, che era più grande e prepotente, sceglieva il mare per tutti e due.
Se a scuola chiedeva un boccone di pizza a un suo compagno che faceva merenda, l’oggetto dei suoi desideri cadeva a terra e un altro ragazzino arrivava di corsa per prenderla a calci.
Al liceo, quando a fine anno organizzava coi compagni una serata in pizzeria per festeggiare e salutarsi, a lui puntualmente veniva quaranta di febbre.
Se invitava una ragazza ad uscire, e decidevano di andare a cena insieme per farsi una capricciosa e una quattro stagioni, poteva stare sicuro che la ragazza gli avrebbe telefonato all’ultimo momento per lasciarlo, o che non si sarebbe presentata all’appuntamento.
Quando alla fine riuscì a sposarsi, perché in fondo di ristoranti e di locali ce n’è diversi tipi, risultò che la moglie soffriva di intolleranza alimentare per i cereali, il pomodoro e i derivati del latte, e così di pizza non si parlava nemmeno. Tanto più che i suoi figli avevano ereditato le intolleranze dalla madre.
Di questo passo, Eugenio raggiunse un’età rispettabile, una buona pensione e la condizione di nonno senza aver mai conosciuto l’emozione che si prova schiacciando tra i denti questa consolazione divina, questa gioia alla buona, questo sfizio che tutti gli altri (tranne la moglie e i figli, ma per loro era una questione di salute) si potevano togliere quando volevano.
A volte a Eugenio venivano in mente i suoi problemi con la pizza e gli veniva da piangere dall’amarezza e dalla frustrazione. Si sentiva un escluso, un disgraziato, per la vergogna non ne parlava mai. Poteva dirsi felice quando riusciva a non pensarci.
Finché un giorno si ritrovò seduto al bar accanto a un signore che stava per consumare un bel trancio di margherita, lucido d’olio dorato, soffice di mozzarella candida e rosso di pomodoro come il sangue. Approfittò di un momento di distrazione del vicino, afferrò la pizza e corse per strada, veloce come un ragazzino, incurante dei commenti e delle grida di quelli del bar.
Svoltato un angolo, non appena si sentì al sicuro, si fermò un minuto per riprendere fiato, chiuse gli occhi e si mangiò il suo trancio di margherita, dapprima con foga, poi sempre più tranquillo e rilassato.
Era incredibilmente buona. Eugenio non era mai stato così felice.
Ma subito dopo avere inghiottito l’ultimo boccone, fu preso da brividi, da conati di vomito, la vista gli si annebbiò e le orecchie presero a fischiargli.
Eugenio cadde a terra, e capì che stava per lasciare la vita terrena. Si guardò intorno per dare un ultimo addio alla sua città e al mondo, e vide inginocchiato accanto a sé un bel ragazzone con gli occhi azzurri e i capelli lunghi e biondi, vestito con una sottana celeste e con due ali di penne bianche attaccate alle scapole.
“E’ tutta colpa mia!” urlava disperato quel ragazzo, che con amore infinito lo guardava e versava calde lacrime, mordendosi le dita. “C’ero quasi riuscito!”, gridava, “Mancava così poco al termine! Ancora due o tre anni, e ti avrei accompagnato sano e salvo fino al giorno destinato alla tua morte! Me lo avevano detto che ti dovevo tenere lontano dalla pizza! Fino quasi alla fine ci sono riuscito, ma chi poteva immaginare che il boss del rione Parità sarebbe uscito di galera in anticipo per buona condotta? Quella pizza all’arsenico era per lui! Era lui che la doveva mangiare! O mio Dio, sono un fallito!”
“Angelone mio, non ti disperare!”, mormorò Eugenio, scuotendo debolmente una mano, “E’ andata benissimo a tutti e due. Tu mi hai salvato fino ad oggi, e io sono finalmente riuscito a mangiarmi la pizza, che è l’unica cosa che mi sia veramente goduto su questa terra…”
Poi morì, con un sorriso dipinto sulle labbra.
L’angelo si asciugò le lacrime e subito aprì la busta che conteneva le istruzioni sulla persona che avrebbe dovuto custodire dopo Eugenio.
“Devo sbrigarmi”, pensò, “Starà nascendo in questo momento stesso!”
“John Twining. Inghilterra”, lesse l’angelo. 
“N.B.: evitare nel modo più assoluto il tè”.
E l’angelo cadde lungo disteso sull'asfalto.

Un secondo bonus: il momento magico di Barbara. 
Questo valga per tutti: se vi vengono in mente dei magic moments, non pensiate di essere in ritardo!
Li aggiungerò alle prossime mail - se gli angeli continuano a proteggermi e le mie amiche a starmi vicino - come bellissimi bonus finali.

Te lo scrivo perchè mentre leggevo i tuoi racconti magici continuavo a pensare che io non ho momenti magici, invece semplicemente me li dimentico. 
Ieri mente ero in macchina mi sono venuti in mente due momenti magici...  ma ora me ne ricordo solo uno...
il mese scorso, dopo una bella giornata funzionante, dopo avere passato una bella serata e avere visto un bello spettacolo a teatro (bello in triplice copia), sono tornata all'auto e ho fatto un giro un po' più lungo e meno trafficato per tornare a casa, passando dalla bovisa, per allungare la giornata. Arrivata in Bovisa, proprio vicinissimo alla casa dove ho abitato ho trovato due o tre omini con il giubbetto giallo fosforescente che fermavano il presunto traffico, insomma, le auto che per caso passavano di lì, e ho visto un bel gruppone di pattinatori passare in un perfetto silenzio notturno... era un martedì, tornata a casa ho scoperto....
http://www.milanoskating.it/eventi/il-martedi-sera.html
questi carbonari del pattino in linea (suppongo, non so se ci fosero degli ottorotellati)... una cosa magica, un punto perfetto dopo una giornata senza macchia....


E tra angeli e pattinatori, io auguro a tutti


Buona settimana!


Silvana

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