lunedì 22 febbraio 2016

22 febbraio 2016 - Sciopero!

Poco fa, attraversando il parco per venire al lavoro, mi chiedevo: l'inverno potrebbe definirsi lo sciopero della natura?

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Gli antichi avevano elaborato un mito meno prosaico, a proposito della stagione morta.

Rapimento di Proserpina del Bernini.

Ma la natura, col suo scioperare d'inverno, che cosa vuole ottenere?
Al giorno d'oggi, purtroppo, di istanze da rivendicare ne avrebbe a bizzeffe.

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Il pm10 in diretta dalla mia finestra

Ma in passato?

Io camminavo, camminavo per il parco, e vedevo gli occhi della madonna (cioè: i nontiscordardimé - ancora non mi si rivelano le potenze divine...), periscopio primaverile delle zolle. Sentivo il TRRRRRRRRRRRRRRRRRRH TRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRH! legnoso dei picchi nascosti dietro ai tronchi (accidenti, sono riuscita a scorgerne uno di sfuggita solo un paio di anni fa),


 e mi chiedevo: la gastrite è lo sciopero dello stomaco? La stupidità è lo sciopero dell'intelligenza? 
Se penso alla malattia della madre del mio ex: l'alzheimer può essere considerato lo sciopero della coscienza che non ne vuole più sapere di ciò che ha visto?
E riporto a modo mio le parole di un'amica che ha perso due dei suoi cari, ultimamente: la morte potrebbe essere uno sciopero della voglia di vivere?

Ma poi, perché pensavo allo sciopero, mentre venivo al lavoro?

Molto semplice, lo confesso: ho già due belle mail del lunedì nella mia mente, molto lunghe, molto strutturate, ma col tempo divento sempre più pigra.
Ho sempre meno voglia di scrivere...
Cercavo un pretesto per non farmi sentire.

Ma allora, è vero che lo sciopero è tutt'una scusa per lazzaroni?


Un ricordo fantozziano: anni fa, quando mi sentivo trascurata da qualche amichetta, per una forma di sciopero della comunicazione non le mandavo la cartolina delle vacanze, durante l'estate.

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Ma queste amichette non ne hanno mai sofferto. Anzi, non devono essersene mai accorte. 
Si erano sempre limitate a rispondermi, quando mi facevo viva io.
Durante quelle estati, da loro non ricevevo nulla, e poi scomparivano nel nulla.
Amen.

Ma questo non ha nulla a che vedere con voi che mi leggete!

Lo sciopero, si sa, è uno strumento con cui si cerca di ottenere un miglioramento nella propria condizione.
Inoltre, presuppone che si torni a eseguire l'azione interrotta.
Dunque, la morte non può essere considerata una forma di sciopero.

E per rimanere in tema di graditi ritorni, vi copio una storia che avevo scritto tanto tempo fa - prima che le mie facoltà creative entrassero in sciopero.


Il merlo canterino 

C’era una volta un merlo canterino, nero come la pece e giallo come l’oro.

Viveva sul ramo più alto della quercia che cresceva nella piazza del paese, e ogni mattina, quando era ancora buio, apriva il becco per cantare la sua canzone. Che diceva:

“Esci sole, sole bello, sorgi su di noi, dacci luce, dacci calore, splendi splendi tutto il giorno. Grazie! Grazie!”

Il sole, richiamato da quella melodia, faceva capolino all’orizzonte, e si metteva a rotolare lentamente per il cielo fino a che, tornata l’ora di mettersi a dormire, con un ultimo raggio di saluto scendeva sotto l’orizzonte, dove rimaneva tutta notte.

Poi, il mattino dopo, tornava a udire la canzone che gentilmente lo chiamava in mezzo al cielo. E così via, ogni giorno uguale.

Il fornaio era molto contento di sentire l’uccello cantare. Gli teneva compagnia mentre faceva il pane. 

Lo spazzino puliva le strade ritmando i colpi di ramazza sulle note di quella melodia, e a 
volte la fischiettava insieme al merlo, ma piano piano, per non disturbare.

Anche la vecchina che abitava nell’ultima casa del paese, e andava nel bosco a cercare erbe medicinali sul fare del giorno, gli voleva molto bene. Il suo canto le scaldava il cuore, e la faceva sentire più giovane.

Purtroppo, in paese erano gli unici a pensarla in questo modo. 

“Questo uccellaccio ci disturba!”, si lamentavano i cittadini, “Col suo fischio malefico, ci 
toglie le ultime ore di sonno! Non ha rispetto! Non ha educazione! Non si può più andare avanti così!”

Finché un bel giorno, anzi, un brutto giorno, decisero all’unanimità che era ora di smetterla con tutto quel cantare.

Nel corso di un’assemblea municipale, ordirono i loro piani di vendetta.

“Lo uccideremo con un verme avvelenato”, si dissero, “Nessun merlo può scampare a tanta astuzia!”

Ma la vecchietta, quatta quatta, trovò il verme sotto la quercia della piazza e lo buttò dritto in un tombino.

“Esci sole, sole bello, sorgi su di noi, dacci luce, dacci calore, splendi splendi tutto il giorno. Grazie! Grazie!”, tornò a cantare il merlo.

Gli abitanti del paese, quando ancora una volta vennero svegliati all’alba, diventarono rossi di rabbia, e picchiarono i pugni sul cuscino. Ma non si diedero per vinti.

“Proveremo con il vischio!”, decisero. E prepararono una trappola di rami appiccicosi, che montarono sul ramo più alto della quercia perché il merlo rimanesse intrappolato.

Ma lo spazzino, senza farsi vedere da nessuno, mentre era ancora notte allungò il manico della scopa, e buttò a terra la trappola mortale. Poi, la fece sparire nel bidone della spazzatura e se la portò via.

“Esci sole, sole bello, sorgi su di noi, dacci luce, dacci calore, splendi splendi tutto il giorno. Grazie! Grazie!”, fischiò il merlo a pieni polmoni, poco prima che facesse luce.

Gli abitanti del paese non credevano alle proprie orecchie. Saltarono giù dal letto, 
spalancarono le finestre e guardarono in cima alla quercia. Quando videro il merlo stagliarsi nero nero contro il sole nascente, divennero bianchi come lenzuoli.

E ordirono un altro piano.

Pierino era il più bravo di tutti i monelli, con la fionda. Arrivò in piazza a notte alta, e si 
appostò su una panchina per essere lì pronto, a elastico teso, quando il merlo fosse salito sul suo ramo per mettersi a cantare.

“Esci sole, sole bello, sorgi su di noi, dacci luce, dacci calore, splendi splendi tutto il giorno. Grazie! Grazie!”, udirono gli abitanti del paese anche quel mattino, e diventarono verdi di bile.

Quando corsero in piazza a controllare, trovarono Pierino placidamente addormentato a 
pancia all’aria, sulla sua panchina.Aveva trovato, quella notte, una cesta piena di cannoli, bignè, pizzette e focaccine, proprio accanto al posto dove si era seduto ad aspettare. E, mangia che ti mangia, gli era venuto un sonno così pesante, ma così pesante, che si era perso il canto del merlo.

“Basta! A mali estremi, estremi rimedi!”, esclamò il Sindaco, come se i rimedi cui erano 
ricorsi fino a quel momento non fossero già abbastanza estremi. “Ci penserò io stesso! Sono o non sono un grande cacciatore?”

E così, la notte seguente, si mise alla finestra del municipio con la fascia tricolore sulla 
pancia e la doppietta in spalla, a fare la posta al merlo canterino.

“E adesso, cosa mai potremo fare?”, si chiesero disperati il fornaio, e lo spazzino, e la 
vecchietta che raccoglieva erba.
Niente, potevano fare.

Infatti, appena il merlo salì sul ramo per cantare la sua canzone, “Pum!”, si udì uno sparo, e il povero uccellino cadde a terra stecchito.

Gli abitanti del paese si misero a saltare e a ballare. “Adesso potremo dormire tranquilli 
quanto ci pare!”, dicevano, ridendo di gioia.
E subito tornarono a letto, coprendosi fino alle orecchie con le lenzuola. Ma…

“Sole d’oro, palla di fuoco, sali sali in mezzo al cielo. Dacci luce, dacci calore, splendi 
splendi su di noi. Grazie! Grazie!” sentirono fischiare al mattino.

“Non è possibile!” strillarono, e di nuovo spalancarono le finestre per guardare la quercia 
della piazza.

In alto in alto, stava appollaiato un merlo più nero, più giallo, più bello che mai. E cantava con voce fortissima.

La vecchietta, il fornaio e lo spazzino si asciugarono gli occhi, e tornarono alle loro faccende sorridendo consolati. Avevano capito che un merlo canterino non sarebbe mai mancato, sulle loro teste.

Infatti, come potrebbe sorgere il sole, se non ci fosse un merlo che gentilmente lo chiama?


E buona settimana!


Silvana



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