lunedì 30 gennaio 2017

30 gennaio 2017 - Na remont

Quando ero giovane, ho vissuto quattro mesi in un Paese che non esiste più.

Non se l'è portato via un terremoto, un'inondazione, un cataclisma naturale, ma la Storia.
Il cataclisma umano.


Quando ero all'università, ho vissuto quattro mesi in Unione Sovietica.


Ricordo poco di quei giorni.
Tanta neve, e poi il disgelo.
Una città poco illuminata, la sera, senza pubblicità di prodotti di consumo ma decorata da manifesti di propaganda politica.
L'architettura magniloquente.

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Immagine da Google

Su questo sfondo un po' sbiadito, tanti particolari di vita quotidiana, l'amicizia con le mie compagne di studi, e le parole russe che erano entrate a far parte del nostro gergo quotidiano.

Mangiavamo "na tumbocke", cioè sui comodini delle nostre stanza da letto riuniti a mo' di tavolo da pranzo.
Facevamo la spesa col poco che trovavamo nel supermercato del quartiere - latte acido (kefir), pane a cassetta (il migliore si chiamava borodinskij) e le scatolette di pesce predilette dagli ubriaconi dopo la sbornia (kil'ki).
Raramente compravamo prelibatezza proibite nei "Berjoza" - i negozi per gli stranieri, o per chi disponesse di valuta straniera.

Prendevamo il montacarichi per spostarci da un piano all'altro dell'Istituto Puskin stando attenti a non fare "peregruzka" - cioè sovrappeso.
Quando l'ascensore non partiva e si accendeva la malefica lucina rossa, c'era sempre chi si metteva allegramente a saltare per ingannare il rilevatore del peso (non era certo elettronico!). I più atletici si tenevano in sospensione orizzontale tra una parete e l'altra della cabina. Funzionava.
Ogni tanto, qualcuno più arrendevole degli altri, molto semplicemente, usciva.
Un giorno, uscendo, ho detto "Avrò una figlia e la chiamerò Peregruzka", facendo ridere tutti.
Vane risate! 
Peregruzka non è mai arrivata.

Dei "pel'meni" (si legge pilmini) mi piaceva sia il nome che il sapore.
Erano i ravioli siberiani, conditi con la panna acida, il cui ripieno aveva un forte sapore di selvatico.
Si mangiavano in locali self-service specializzati, che chiamavamo pilminerie.

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In realtà, il mio ricordo dei pilmini è molto nebuloso.
Li ho provati una volta sola.
Chiunque si avventurasse in una pilmineria si beccava il mal di pancia, e non ci tornava più.
Però erano buoni...

E poi, quando si andava per negozi, il più delle volte gli scaffali erano vuoti.
A volte, oltre che vuoti, erano anche chiusi perché qualcosa non funzionava.
Un cartello, in quei casi, ci avvisava che il servizio era "zakryt na remont".

Che bello, poter chiudere "na remont".

Che voglia di scrivere  "na remont" su un'etichetta, e poi di appiccicarmela in fronte.

Quanti ricordi.
Che bei tempi.


Buona settimana!


Silvana


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